Svolta epocale o ennesima prova di forza? Il Milan fa sapere di aver deciso il futuro del proprio stadio: via da San Siro e soprattutto via dall'Inter. Le strade delle due milanesi si separeranno, ponendo fine a un condominio unico e inimitabile a livello mondiale, durato più di settant'anni, che ha fatto diventare il Meazza lo stadio più titolato del pianeta calcio. E per chi è nato e cresciuto a San Siro sarà difficile andare allo stadio senza passare, deferenti, sotto le storiche targhe che immortalano i trionfi dei due club.
Ma il Milan sembra aver rotto gli indugi: il nuovo stadio rossonero si farà su un'area privata (a Sesto, San Donato o sempre a San Siro ma sugli attuali terreni ippici della Maura), perché l'americano Cardinale se ne frega dei sentimentalismi, non sopporta più i lacci burocratici e le lentezze del Comune e soprattutto non si fida della situazione societaria dell'Inter su cui pende il rischio di un nuovo passaggio di proprietà.
Ognuno, ovviamente, è libero di costruirsi il proprio futuro, ma di certo a perderci sarà Milano, con un Comune immobile, capace in quattro anni, da quando Inter e Milan hanno presentato il progetto del nuovo stadio condiviso, di rallentare continuamente le decisioni e di aggiungere sempre nuove richieste. Fino a vincolare tutto alla decisione della sovrintendenza alle Belle arti sul futuro del vecchio Meazza. Che potrebbe restare solo sede dell'Inter (spaventata però dai costi di ristrutturazione e di gestione da non poter più condividere) o nemmeno dei nerazzurri, diventando una cattedrale nel deserto in mano al Comune.
Il sindaco Sala, che allarga e restringe i confini della città a seconda degli argomenti in causa, dice che Milan e Inter hanno tutto da perdere ad abbandonare il territorio comunale, però chissà perché quando si accorge di essere senza un palasport da quarant'anni (caso unico al mondo), fa passare il Forum di Assago (dunque non di Milano) come fiore all'occhiello per le squadre di basket e di volley. Specchio di una città che fra tre anni deve ospitare un'Olimpiade, ma di cui non si vede ancora nulla, e che nel frattempo si è fatta portar via un'altra volta persino partenza e arrivo del Giro d'Italia.
Il rischio ora è che questa città da terzo mondo in fatto di impianti sportivi, si ritrovi addirittura con due mega-stadi di calcio, uno a due passi dall'altro. O addirittura con tre, di cui uno destinato a diventare il museo di se stesso.
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