Non è così semplice rimanere seduti sulle tribune del Crystal Palace di Melbourne mentre in acqua si scatena l'inferno.
Blood in the pool match è un racconto al contrario dei Giochi, lontano dai precetti olimpici e succede il 6 dicembre del 1956 alla XVI Olimpiade australiana, la prima nell'emisfero meridionale. Ore 15,25, Ungheria e URSS di fronte nella quarta giornata del girone finale del torneo di pallanuoto, sulle tribune in seimila, in maggioranza fuoriusciti magiari.
Per tentare di dare un senso a questa materialità, rabbia, urla e cazzotti, occorre parlare d'altro, la rivalità sportiva c'è ma non è quella, i russi sono dentro Budapest, la polizia di regime AVH terrorizza e gli ungheresi non ballano dalla felicità. A pochi giorni dell'inaugurazione dei Giochi una manifestazione studentesca sfocia in rivolta violenta contro il governo filosovietico di Mátyás Rákosi, viene nominato un nuovo esecutivo guidato da Imre Nagy che non dura neppure due settimane, arrivano i cingolati sovietici, prigionieri, 5mila morti, macerie, i capi della rivolta fucilati con tutto quel simpatico contorno di nefandezze alle quali i regimi totalitari ci hanno abituato.
Ma la nazionale di pallanuoto, favoritissima per l'oro, non ne sa nulla, il partito comunista ungherese ha organizzato un ritiro in collina, zero televisione, radio, giornali e neppure una piscina dove potersi allenare. Solo a Darwin, durante una tappa di avvicinamento a Melbourne, vengono a conoscenza della rivolta soffocata nel sangue dai russi, ed è qui che nasce la ritorsione. L'allenatore Béla Rajki inizia il suo lavoro tattico e psicologico. L'Ungheria è reduce dall'oro di Helsinki, ha un gioco prettamente offensivo, non ha rivali ma Rajki teme che gli avversari abbiano preso le contromisure e cambia modulo. Rafforza la difesa, schiera due marcatori sull'attaccante più forte rischiando di lasciarne libero un altro e mette a zona il resto della squadra. Viene volutamente lasciato libero il più scarso, riceve lui tutte le palle migliori ma non sa sfruttarle. Poi Rajki lavora sulle teste: Vi hanno obbligato a studiare il russo, fatene tesoro.
Il girone eliminatorio un allenamento, rasati gli inglesi poi 4-0 ai tedeschi e alla nostra nazionale. Arriva la sfida contro l'URSS e qui occorre fare la tara alle cronache nella maggioranza raccolte su quotidiani occidentali schierati con gli oppressi ungheresi. Minacce da parte dei russi ma anche reiterate provocazioni ungheresi, in vasca succede di peggio. Gli ungheresi provocano gli avversari in russo, tirano in ballo le mamme, li chiamano bastardi, il capitano Desz Gyarmati è una furia. I russi gridano nazisti agli ungheresi forzatamente alleati ai tedeschi durante la guerra, rabbia e rancore esplodono. I colpi partono sopra e sotto il pelo dell'acqua, calci, pugni, il match più violento della storia. La cronaca è spietata, dopo neppure un minuto l'arbitro svedese Sam Zuckerman indica il pozzetto al capitano sovietico, il georgiano Pëtr Mshvenieradze, per una presa da lotta libera, Gyarmati nel caricare il braccio colpisce con una gomitata un avversario che sviene e rischia l'annegamento, ma è lui a sbloccare il punteggio con un contestatissimo rigore, il raddoppio è di Ervin Zádor, o forse di Gyorgy Kàrpàti, anche i tabellini vanno in confusione. Dove non arriva il gioco di nervi, arrivavano le braccia di Ottó Boros, uno dei portieri più forti nella storia della pallanuoto. Prosieguo ancora più cruento, pedate e cazzotti nei fianchi mentre le tribune si svuotano, la gente è a bordo vasca minacciosa, fantasiosi appelli alla calma, interviene la polizia. Altri due gol ungheresi, uno di Zador, l'altro di Kálmán Markovits o di Antal Bolváry che ha perso l'udito e deve uscire per una sospetta rottura del timpano dopo un cazzotto del suo marcatore Valentin Prokopov. E Zador qui perde la testa, inizia a insultare tutta la famiglia di Prokopov, urla che rimbombano nel palazzetto, poi un fischio dell'arbitro lo distrae, si volta e il russo esce con tutto il busto dall'acqua, gli rifila un gancio e gli apre uno squarcio nel sopracciglio.
Zador esce dalla vasca con un rigolo di sangue che gli solca il volto e diventa l'immagine della battaglia del Crystal Palace. I titoli sono tutti su quella istantanea: e l'acqua si fece rossa. L'arbitro perde il controllo, la lotta è interrotta a tredici minuti dal termine, mai accertati. A fatica la polizia evita che i sovietici restino vittime della furia della gente che li vuole linciare. Gli ungheresi vincono l'oro, argento alla Jugoslavia, bronzo ai russi.
Per la prima volta la chiusura dell'Olimpiade vede gli atleti sfilare mischiati, gli ungheresi sotto la bandiera con lo scudo di Kossuth, quella della Budapest liberata qualche settimana prima.
Ma non è così facile decidere da che parte stare se si restringe il campo alla gara, in vasca quel 6 dicembre del '56 non c'era neppure un russo su quei cingolati e neppure un ungherese fra i rivoltosi. E i Giochi non sono stati creati per risolvere i sospesi.
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