Con quei piedi e quella tecnica, chiunque ami il calcio non può che riempirsi gli occhi di meraviglia nel vederlo giocare. Emozione pura. La stessa che ha fatto trattenere il fiato lo scorso 12 giugno, pregando che si rialzasse, prima ancora di poter immaginarlo di nuovo con la palla tra i piedi. Ne ha fatta di strada Christian Eriksen da quel maledetto pomeriggio. Dal ricovero all'operazione, dal pacemaker alla riabilitazione, alle prime corse, dagli allenamenti fino al ritorno in campo. E da ieri, un altro passo verso la normalità per un calciatore come lui: la convocazione in Nazionale.
Il centrocampista danese vestirà la maglia del suo Paese a 9 mesi dall'arresto cardiaco che lo ha portato a un passo dalla morte durante la gara con la Finlandia agli scorsi europei. Ma Christian non ha mai mollato. Con la consueta classe e il garbo che tutti hanno imparato a conoscere. Mai una polemica in carriera, mai una parola fuori posto. Ancora più sereno oggi, consapevole di quanto possa definirsi fortunato, come uomo e come calciatore. D'altra parte «ricordo tutto. Tranne quei minuti in cui ero in Paradiso», ha detto il danese. Il suo paradiso adesso è un rettangolo verde che gli regala gioia e leggerezza. Il Brentford gli ha restituito il ruolo di calciatore e lui se l'è ripreso come sa fare. Sabato scorso il primo assist in Premier, alla sua maniera. E ora le amichevoli contro Olanda e Serbia.
Tutto bello, una favola. Ma con un retrogusto amaro. Al di là dell'ovvio, perchè la vita di un ragazzo viene prima del calcio... Cosa ci siamo persi. In Italia Eriksen non può giocare. I regolamenti sono rigidi, qualsiasi tipologia di pacemaker impiantato equivale alla mancata idoneità sportiva.
Un vero peccato e un rimpianto per l'Inter che in questo momento di crisi avrebbe davvero bisogno di quel biondino silenzioso ed educato capace di fare magie con la palla tra i piedi. E a cui tutti, comunque, vogliamo bene. È tornato. Se lo merita. E al di là dei colori, chi ama il calcio, non può non tifare per lui.
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