Per un momento, mettiamo da parte il signor McLaren segugio canadese dello sport a capo della commissione Wada. E con lui, proviamo ad accantonare per qualche istante le inchieste presenti, passate e future sul doping di Stato. Proviamo a non pensare allo squallore delle evidenze raccolte dalla Wada, agli escamotage dopanti messi in cantiere dallo sport russo dopo la Caporetto sportiva di Mosca che ha un luogo e una data, olimpiadi di Vancouver, Canada, anno 2010, quando i successi furono pochi e invece tanta, tantissima, la paura del Cremlino di sfigurare, quattro anni dopo, a Sochi, in casa. Proviamo a non pensare allo squallore delle manomissioni notturne di provette, alle pipì torbide e sospette sostituite con pipì pure e filtrate che facevano plin plin ed erano chiare e intonse come le acque minerali date ai bebè. Proviamo a non pensare a un paio di funzionari dell'antidoping russa morti in circostanze misteriose, ai cocktail coprenti di steroidi e Chivas o vermouth inventati dall'ex direttore del laboratorio antidoping di Mosca, Grigory Rodchenkov, poi scappato negli Usa e diventato generoso collaboratore Wada.
Ecco. Se ci riesce di non pensare a tutto questo, possiamo ancora aspettare i giochi di Rio e sognare. Ma sarà difficile riuscirci con l'atletica, assieme al nuoto lo sport simbolo dei Giochi, che arriva monca in Brasile. E sarà impossibile se il Cio, proprio sull'onda della sentenza di ieri, dovesse nei prossimi giorni optare per escludere l'intero sport russo dalle olimpiadi. In queste settimane sono state spesso ricordate le olimpiadi castrate di Mosca 1980 e Los Angeles 1984, quelle della triste guerra dei boicottaggi incrociati Usa-Urss. All'epoca però i panni sporchi li avevano lavati direttamente i governi. Erano state le nazioni a decidere di non mandare i propri atleti a una manifestazione come ritorsione di politica estera.
Stavolta è lo sport, il suo governo, a fermare tutti gli atleti di un paese senza far distinzione fra puliti e dopati.
E allora, pensando a quanto faticano questi ragazzi con il solo miraggio dei Cinque cerchi, è come se lo sport stesse uccidendo se stesso. Ieri la Isinbayeva ha parlato di «funerale dell'atletica». Forse è molto di più.
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