La sfida della dolce Irma «Boxe e femminilità non fanno a cazzotti»

La Testa, 18enne di Torre Annunziata, spiega la sua lunga battaglia contro i pregiudizi

La sfida della dolce Irma «Boxe e femminilità non fanno a cazzotti»

Irma è dolce. Non come in quel film dimenticato e ormai lontano nel tempo. Irma è dolce e violenta allo stesso tempo. Non sono i suoi pugni a scuotere. Oddio, le avversarie eccome se le scuote. Irma incanta col tono, percuote con il significato di quel che dice, mette all'angolo con i ragionamenti fino a che non ti ritrovi ad essere d'accordo con lei. Il problema è che poi ha pure ragione. Come questa storia di lei prima pugile italiana qualificata alle Olimpiadi. Storia che fa effetto, fa pensare, fa parlare i puristi dello sport più macho che ci sia, però poi lei sgrana gli occhi, modula il tono e ti stende: «Perché io donna faccio la boxeur? Perché è vero, stiamo parlando di uno sport che viene inteso come assolutamente maschile, ma visto che noi donne da sempre riusciamo a fare più cose insieme, da sempre siamo più abituate al sacrificio, ecco che la boxe si abbina bene alla personalità di una donna».

Perdona, tradotto sul ring, che cosa significa saper fare più cose insieme?

«Significa ragionare. Significa saper essere razionali. Significa trovare sempre la soluzione al momento giusto. Significa saper leggere nel pensiero dell'avversario, prevenirne le mosse. Significa, appunto, saper fare tante cose».

Perché invece i colleghi pugili?

«Spesso si limitano a menare».

Donna contro donna, una lei che sa fare più cose insieme contro un'altra lei che sa fare più cose insieme. Verranno fuori match intricatissimi... Probabilmente più avvincenti.

«Semmai vengono fuori altre cose: per esempio, sedici anni di lotte che noi donne pugili abbiamo dovuto portare avanti per vedere finalmente abbattuti pregiudizi. Per cui quando il pubblico ci vede sul ring, vede molto di più. Rispetto agli uomini abbiamo dovuto fare molta più strada, abbiamo dovuto conquistare il nostro posto nel movimento pugilistico italiano. Per cui sì: alla fine è molto più avvincente ed emozionante il pugilato donna perché con tutto quello che abbiamo passato è oramai carico di extra valori».

A proposito di extra valori: questo è un periodo particolare nella nostra società. Un momento in cui le violenze sulle donne sembrano un'epidemia senza cura, un periodo sociale in cui gli uomini appaiono in grande difficoltà nel rapportarsi con le donne.

«Fateci caso: restando nello sport, le donne, se non superato, hanno ormai raggiunto gli uomini. La spedizione azzurra a Rio è per metà composta da atlete. Non solo: le aspettative di medaglie d'oro sono legate più a donne che a uomini. Per la spedizione azzurra è un record fuori dal normale. E questo parlando di sport. Se poi ci allarghiamo alla società, al mondo del lavoro, della politica, delle istituzioni, anche lì stiamo facendo numeri incredibili. E questo credo stia mandando in tilt molti uomini... o almeno quelli che non sono strutturati per reggere questo tipo di cambiamento».

Da donna che pratica uno sport maschio, che cosa ti senti di dire ai maschi che usano violenza verso le donne? In questi mesi stiamo assistendo a una tragica scia di femminicidi...

«Ritengo che quel tipo di uomini pensi che l'unico modo per colpire noi donne, visto che non riescono a farlo con l'intelligenza, sia usando la violenza. Perché solo con la violenza si può abbattere una donna... e ora nemmeno con quella. Perché noi, con le parole, con la calma e la tranquillità che ci appartengono, noi vinciamo sempre e su tutto. E certi uomini, l'unica cosa che possono fare è alzare le mani... In fondo è il mezzo più semplice. Per cui, io che per sport so picchiare, a questa gente dico che invece dovrebbero essere orgogliosi delle donne che hanno accanto. E fieri dei progressi che stanno facendo in tutti i campi. Solo così, solo lasciandole libere di potersi esprimere e libere di poter far meglio quel che riesce agli uomini... Come si dice? Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna. Invece la violenza blocca le nostre attitudini, il nostro talento, la crescita stessa di una donna».

E invece che cosa diresti alle donne che subiscono?

«Che picchiare è lo strumento più semplice a disposizione degli uomini. Ma noi siamo talmente forti che possiamo superare anche questo. Ma devono parlare, denunciare, far venire fuori quel che subiscono, perché ogni loro vicenda personale può aiutare altre».

Tornando allo sport, parlavi di pregiudizi abbattuti da te e dalle altre pugili...

«Pensa che io, prima, ho dovuto persino convincere i miei allenatori. Non credevano in me. Dicevano ma che vieni a fare, sei minutina, piccola, magra, vai a cucinare... vai a fare l'uncinetto... Si sono dovuti ricredere poi. Quando hanno visto che la mia voglia di combattere era fortissima».

E adesso prima donna pugile italiana ai Giochi, categoria 60 kg. De Coubertin diceva non conta vincere, conta partecipare...

«Io voglio vincere. Io voglio l'oro. Già l'argento sarebbe un fallimento. Non mi sono preparata perché le Olimpiadi sono una bella esperienza da vivere o provare... oddio, lo sono anche, ma io voglio l'oro».

I tuoi modelli nella boxe?

«Cammarelle, Valentino... Benvenuti, Muhammad Ali...».

Si blocca.

«...Katie Taylor... Cinque volte campionessa del mondo, sei d'Europa, una ai Giochi... nessun uomo ha vinto quanto lei».

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