Venti gennaio duemila e ventitré, la Juventus viene penalizzata di 15 punti, scivola dai 37 punti dopo diciotto giornate di campionato, ai 22, alla vigilia della partita, poi pareggiata, con l'Atalanta. Fino allo scorso ultimo turno di serie A, Juventus ha conquistato 22 punti in dodici giornate, fermandosi a 44 in classifica. Nel frattempo è uscita malamente dalla champions league, con la vergogna di cinque sconfitte su sei partite, si è poi qualificata alle due semifinali di Europa league e di coppa Italia, tornei che prescindono dalla penalizzazione. I giudici hanno condizionato il suo cammino in campionato e intossicato la classifica delle altre squadre, in particolare quelle concorrenti a un posto per le prossime competizioni Uefa. Un danno enorme e plateale di cui la cosiddetta giustizia sportiva non ha tenuto conto, seguendo le sollecitazioni della piazza e non quelle suggerite dai codici, che avrebbero potuto essere anche peggiorative rispetto ai -15 che già accentuavano la prima richiesta del -9. Una sentenza difettosa, per nulla chiarificatrice nelle motivazioni di quel punteggio afflittivo, stranamente non in linea con le condanne severe che hanno invece riguardato i vertici della Juventus.
Lo scenario si è prestato immediatamente a una lettura populista e superficiale, l'Italia dei tifosi divisa in due, innocentisti, pochi, colpevolisti in maggioranza. La confusione non è stata affrontata dalle istituzioni del calcio che hanno assistito, in silenzio, ad un torneo difettato e ancora insoluto. Tale è rimasto anche dopo il rinvio alla corte di appello federale, deciso dal collegio di garanzia dello sport presso il Coni, stesse tesi e posizioni di accusa e di difesa, stessa visibilità nebbiosa, un limbo nel quale nessuno, non soltanto Juventus, sa se vedrà il paradiso o scivolerà all'inferno. La precarietà preoccupa il ministro dello Sport, Andrea Abodi che vuole affrontare il tema della riforma della giustizia sportiva. Juventus dovrà, però, compiere il passo diplomatico decisivo, nei confronti di federcalcio e Uefa ma prima dell'inizio del dibattimento relativo al filone manovra stipendi, dunque scendere a patti, ammorbidire posizioni intransigenti e ormai anacronistiche, dialogare con Gravina e Ceferin, non con semplici promesse e premesse ma con un impegno definito e definitivo in merito a cause pendenti e alla stucchevole vicenda della superleague, inutile battaglia persa da Andrea Agnelli che tuttavia, ha perseverato, in modo testardo e autolesionista, da uomo solo al comando del nulla.
Juventus ha cambiato totalmente la propria dirigenza, la svolta, obbligata, deve essere garanzia per la squadra e per le istituzioni, il patteggiamento non è soltanto una ammissione di responsabilità (osteggiata da Andrea Agnelli) ma un atto di coscienza e di saggezza politica e imprenditoriale. La stortura dei giudici non può essere sanata ma, in punta di diritto, Juventus può andare incontro ad una pesante ammenda con diffida, senza ulteriore penalizzazione. Ma non è da escludere una condanna per il club e per la classifica della squadra, con conseguenze per la graduatoria Uefa, un ventaglio di opzioni che, una volta conosciute le motivazioni della decisione del collegio di garanzia, potrà essere letto in modo più chiaro. Resta ferma la soluzione, a breve scadenza, diplomatica e politica, senza la quale Juventus non può nutrire speranze, anche se la sedicente giustizia sportiva (meglio sarebbe scrivere e parlare di provvedimenti disciplinari) è capace di stravolgere la logica del diritto, assecondando quella del potere politico o i fumi della piazza, come accaduto in passato.
Siamo nel campo delle ipotesi, non per dubbio democratico ma per l'incertezza o, addirittura ambiguità dei giudici e le voci che parlano di dimissioni di alcuni di loro. Il campionato riparte senza sapere come si concluderà. E non soltanto per la Juventus.
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