Vincenzo Santopadre era nell'angolo più magico del tennis quando Matteo Berrettini giocò la finale di Wimbledon contro Novak Djokovic nel 2021. In quel binomio tra coach e campione che oggi si è spezzato, ma non del tutto: «Anche se non lo alleno più, spero di rivedere presto Matteo a quei livelli». Il sorteggio ha messo un po' di perfidia nel tabellone con quel possibile incrocio Sinner-Berrettini al secondo turno, ma il discorso comunque abbraccia tutto il tennis italiano. Che parte oggi a Church Road come non mai: «Non abbiamo mai avuto così tante aspettative, ma se non dovesse arrivare un successo non parliamo poi di fallimento».
Partiamo da Sinner, allora.
«È il numero uno al mondo, non si può certo non inserire nel pronostico. Ma le due settimane di uno Slam sono una strada lunga sulla quale Jannik trova molte insidie».
La fiducia, comunque, è tanta.
«Ed è giustificata, perché lui è davvero a livelli incredibili. La cosa bella è che non è il solo italiano ad aver dimostrato di essere a suo agio sull'erba».
Per esempio?
«Musetti ha fatto benissimo al Queen's, sono certo che disputerà una seconda parte della stagione alla grande. Poi ci sono altri come Sonego, Arnaldi ed anche Cobolli che ho visto in forma. Ripeto: in tanti possono fare strada nel torneo».
E Matteo?
«Partiamo da questo: lui è uno specialista dell'erba, ha una percentuale di vittorie su questa superficie che non ha nessuno. Se non fosse stato per il Covid...».
La verità, allora: nel 2022 poteva vincere Wimbledon, anche contro Djokovic.
«Mettiamola così: quello era il miglior Berrettini che io abbia mai visto. Aveva trionfato al Queen's ed era scattato qualcosa: poteva fare di tutto, era in perfetta condizione fisica, mentale e tecnica».
Da lì in poi un lungo periodo sfortunato. Ed è ripartito con Roig al posto di Santopadre.
«Ma io lo seguo sempre con affetto. Matteo sta tornando: certo gli serve ancora giocare, trovare la condizione e la continuità, il ritmo partita insomma. Ma si vede che ha voglia riconquistare la routine di un tempo. L'anno scorso, d'altronde, dopo quella serie incredibile di infortuni riuscì a sorprendere arrivando agli ottavi. Tornerà dove pensiamo che debba essere, io per primo».
La domanda che (ci) fanno tutti: come spiegare questo grande momento del tennis italiano?
«Non si poteva immaginare, sono successe un po' di cose: i ragazzi hanno cambiato mentalità, ci sono più tecnici preparati, la federazione ha aiutato tutti organizzando un sacco di tornei in Italia. Poi, quando spunta uno come Sinner, parte l'effetto scia».
Quanto è duro preparare uno Slam?
«Giocare tre set su cinque è un'altra cosa, poi dipende dai tennisti: c'è chi decide di partecipare a un torneo la settimana precedente, chi invece preferisce allenarsi e rigenerarsi un po'. Di sicuro bisogna fare qualcosa di più a livello fisico, ma poi quando te la giochi al quinto set conta molto la testa. E l'adrenalina».
Due settimane, si diceva, sono lunghe.
«Può succedere di tutto, sia dal punto di vista sportivo che privato. Quante volte abbiamo visto qualcuno partire male, salvarsi per un pelo la prima settimana e poi alla fine vincere?».
Cosa deve fare un coach?
«Stare accanto al giocatore, a volte facendo un passo indietro. Io dico sempre che siamo un po' come il fantino che guida il suo cavallo dal sulky: si deve saper gestire, a volte assecondare, a volte spronare».
Per finire: davvero si può tornare a giocare dopo 25 giorni da un'operazione al menisco come sta facendo Djokovic?
«Lui può farlo, tutti gli altri no».
E dunque è lui il favorito?
«Incredibilmente no. Anche se è il più esperto, io vedo Sinner o Alcaraz».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.