Nulla sembra difficile per chi ama. Ce lo ha spiegato Jacobs, il più veloce delle olimpiadi giapponesi, lo ha cantato Gimbo Tamberi saltando più in alto di tutti, lo ha confermato ieri sulla strada larga di Sapporo il marciatore pugliese Massimo Stano, primo nella 20 chilometri, gara dove non si vinceva dal 2004 (Brugnetti ad Atene). Tre ori per l'atletica italiana maltrattata spesso, medaglie pesanti in uno sport ecumenico che in 7 giorni ha dato oro a 20 paesi diversi, medaglie importanti, anche se nella miniera della marcia abbiamo trovato spesso fachiri meravigliosi come Abdon Pamich che vinse l'oro nel 1964, ma allora si gareggiava per le strade di Tokio, e non nella sauna del parco Odori, la strada nell'isola verde di Sapporo, l'Hokkaido dove nel 1972, ai Giochi invernali, i Thoeni fecero meraviglie, 800 chilometri dalla capitale, scelta perché ad agosto a Tokyo marciatori e maratoneti avrebbero sofferto rischiato tanto. Calcolo sbagliato. Termometro vicino ai 35 gradi, umidità sopra l'85 per cento. Bisognava davvero credersi i più forti come si ripeteva lui mentre andava a prendere il cinese in fuga e poi alla fine per lasciare indietro gli spagnoli e precedere al traguardo i due giapponesi con cui si è complimentato con un inchino nella loro lingua perché l'operatore informatico arruolato nella Polizia, come Jacobs, ha imparato il giapponese studiando la storia di un paese che lo affascina.
Alla fine della marcia trionfale ha abbracciato Patrik Parcesepe che gli ha riaperto le porte del paradiso sportivo perdute dopo infortuni seri, microfratture alle tibie, la periostite che sembrava aver compromesso questo viaggio.
Non facevamo i conti con l'anima di un ventinovenne longilineo, 1.79 per 66 chili, nato il 27 febbraio 1992, in anno bisestile ed olimpico, a Grumo Appula, come il grande attore e regista Sergio Rubini, ultimamente uno dei Moschettieri di Veronesi, del calciatore Ventola, anche se lui è cresciuto a Palo del Colle, come il pugile Antuofermo.
Deve essere merito dell'olio, c'è una magia che lega questa Olimpiade italiana proprio alla Puglia ricordando che il primo oro di Tokio veniva da quella terra benedetta.
Ha cominciato correndo a 11 anni, a 14 era già marciatore a Molfetta con Zaccheo. Chilometri, fatiche, cambiamenti, studi, passioni passando dalla miniera aurea del tacco e punta di Sesto San Giovanni, con Gandellini, nel regno dei maestri Pastorini e Antonio La Torre, il commissario tecnico di questa nazionale di atletica che ha stupito noi, ma non certo lui che ci ha lavorato con passione, stile, competenza. Nel 2016 i cambiamenti che gli hanno fatto vedere il mondo in maniera diversa: si sposa con Fatima Lafti, ex marciatrice varesina di origini marocchine e, per amore, diventa pure musulmano. A lei e alla figlia Sophie ha dedicato il suo trionfo, in quella sauna giapponese si è sentito padrone del suo destino, capitano della sua anima, rendendo omaggio alla storia di una disciplina che all'Italia ha regalato ben 18 medaglie olimpiche, di cui 9 d'oro delle 22 conquistate. Diventando la punta di un tridente sul podio più alto come era accaduto ai Giochi di Mosca nel 1980 (Mennea, Damilano, Simeoni) e Los Angeles nel 1984 (Dorio, Andrei, Cova).
A sentire Parcesepe, che allena anche la Palmisano, il raccolto non è ancora terminato perché la sua marciatrice potrebbe darci qualcosa di prezioso in una squadra che di solito veniva presa in considerazione soltanto quando c'erano da salvare spedizioni andate male.
A Tokio questa Italia diversa fa certo impressione, stupisce, ma per chi ha lavorato nello sport sa
che esiste una buona stella soltanto se riconosci il valore dei crociati che mandano avanti sport scoperti soltanto in occasione dei grandi avvenimenti come questa Olimpiade che non ci ha guarito, ma sembra darci speranza.
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