Evenne il giorno della confessione pubblica. Gianluca Rocchi, designatore degli arbitri italiani, intervenuto ieri a San Siro alla presentazione del volume sul codice di giustizia sportiva redatto da Giancarlo Viglione, l'ha fatto come sanno fare certi arbitri di fama: un fischio netto, uno solo, ma autoritario. Dinanzi al quesito semplice semplice («è soddisfatto del comportamento degli arbitri durante l'ultimo turno del campionato?») ha risposto con un secco no. Cosi finalmente è caduto il velo sulla narrazione di comodo alimentata dal suo vice Gervasoni ai microfoni di Dazn secondo il quale «tutti i rigori c'erano» per provare a difendere quel che è impossibile difendere, e cioè l' infallibilità degli arbitri. Rocchi non è andato oltre, non è sceso nei dettagli della sua aperta e legittima insoddisfazione. Domenica sera, in tribuna a Firenze, al fianco del ct Spalletti, per esempio ha di sicuro masticato amaro sul primo rigore segnalato dal var e accettato da Pairetto (lieve contatto del piede di Theo Hernandez su quello di Dodo) cosi come qualche rilievo presenterà alla sua squadra e a Marinelli, arbitro di Juve-Cagliari per il secondo cartellino giallo mostrato a Conceicao, squalificato dal giudice sportivo. Quello che resterà, inconfessabile per Rocchi, è da un canto la grave perdita nei suoi ranghi di alcuni mammasantissima del fischietto (tipo Orsato: a proposito perché non viene utilizzato in altro ruolo? a chi fa ombra o a chi dà fastidio?) con un ricambio generazionale molto complesso, dall'altro la perdita secca di alcuni esponenti della squadra Var, ad esempio Valeri, che sono stati adottati da altri campionati (in Grecia quest'ultimo).
Il punto finale è il seguente: non è riconoscendo al minimo indispensabile gli errori commessi dagli arbitri che la categoria e lo staff dei suoi designatori possono guadagnare benemerenze. In alcuni tratti riconoscerli può servire soprattutto alla credibilità del sistema.
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