Sulle plusvalenze il giallo di quegli atti che i pm trattengono "senza motivo"

Il gip dà ragione agli indagati: da 2 anni la Procura si rifiuta di restituire documenti non pertinenti ai reati

Sulle plusvalenze il giallo di quegli atti che i pm trattengono "senza motivo"
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Quanto vasta, quanto è profonda l'indagine che la Procura di Roma intende ancora fare sul «pianeta Juventus»? È questa la domanda che sorge leggendo le carte dello scontro in corso tra i magistrati della Capitale e i difensori della società torinese sulla sorte dell'enorme materiale sequestrato durante le perquisizioni compiute dalla Procura di Torino nella prima fase delle indagini, prima che l'indagine passasse a Roma. Dove l'altro ieri i pm hanno messo la parola fine al primo troncone, chiedendo il rinvio a giudizio del club, del suo ex presidente Andrea Agnelli (nella foto) e di altri ex dirigenti, ma dove resta aperta una inchiesta bis che la Procura intende condurre utilizzando il materiale già sequestrato.

Davanti alla pretesa degli inquirenti di trattenere la copia integrale di tutto il materiale, gli indagati si sono ribellati, e l'8 luglio il giudice preliminare Elvira Tamburelli ha dato loro ragione. Agnelli, Pavel Nedved e gli altri indagati accusavano la Procura di violare i principi stabiliti dalla Cassazione, secondo cui i pm possono trattenere i documenti «succhiati» da telefoni e computer solo per «il tempo strettamente necessario» a selezionare il materiale attinente all'inchiesta, e restituire tutto il resto senza trattenerne copia. Nel caso Juventus i tempi sono stati invece sforati ampiamente, visto che perquisizione e sequestri risalgono al 26 e 27 novembre 2021, che la copia integrale è stata estratta il 21 gennaio 2022, e che il 24 ottobre 2022 la Procura di Torino aveva chiuso le indagini. Da più di due anni, dunque, i pm trattengono senza motivo apparente il materiale, compreso quello estraneo all'indagine. L'indagine è stata complicata scrive il giudice, «ma trattasi di attività che da molto tempo ormai si è conclusa».

Come hanno risposto i pm alle richieste degli indagati? Dicendo che «una restituzione delle copie dei dispositivi avrebbe potuto creare un vulnus al diritto di prova spettante al pm» anche in vista del processo. E poi, più nel dettaglio, dicendo che «l'inchiesta ha ad oggetto tra l'altro la rappresentazione al pubblico e al mercato dell'attività sportiva della Juventus» e «tutti i rapporti sottostanti, formali ed informali, fra una moltitudine di soggetti coinvolti a vario titolo (amministratori, dipendenti, professionisti, agenti e giocatori di altre società calcistiche». Una indagine a 360 gradi, insomma.

Il giudice dà torto ai pm, perché sui dispositivi sequestrati «sono riversati indistintamente informazioni, in elevata quantità, che non sono pertinenti ai reati per i quali si procede». «In proposito le difese hanno anche addotto esempi concreti di comunicazioni, fotografie, eventi che hanno chiara ed esclusiva attinenza alla sfera personale e privata», e che da oltre due anni i pm trattengono illegittimamente.

Ma l'ordine di restituzione riguarda anche i documenti relativi alla attività della Juve, nella parte non direttamente coinvolta dalle indagini.

Il giudice sembra dare per scontato che restando in mano ai pm prima o poi i documenti trapelerebbero: e «non può dubitarsi - scrive - del potenziale pregiudizio che deriverebbe dall'indiscriminata diffusione di notizie alla vita e alle strategie societarie ma che non sono pertinenti ai fatti reato per i quali si procede, condizionando le scelte del mercato, venendo perciò in rilievo la libertà di iniziativa economica».

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