Non è una questione di fluidità, di liquidità o di gassosità e nemmeno di sostantivo neutro (schwa), ma di chiarezza e forsanche di rispetto per le donne. Per queste ragazze che come tali si sentono e accettano di ingaggiare tra di loro sfide in bicicletta. Il problema si presenta quando al via si palesa una donna che fino a poco tempo prima era a tutti gli effetti un uomo e che decide di competere con loro. Austin Killips (foto), nato maschio a Chicago 27 anni fa ma nel frattempo divenuto donna, è diventata la prima atleta transgender a vincere una gara del calendario ufficiale Uci. È accaduto al Tour of the Gila (New Mexico), prova di classe 2.2. Killips si è aggiudicata la prova vincendo la quinta ed ultima tappa e conquistando, oltre che la generale, anche la maglia di miglior scalatrice. Un successo che ha scosso il mondo dello sport. Inga Thompson, tre volte alle Olimpiadi con la nazionale statunitense e vincitrice di tre argenti in altrettanti Mondiali su strada (1987, 1990 e 1991), è stata la più critica, sostenendo che l'Uci - la Federazione mondiale - sta «uccidendo il ciclismo femminile». «Abbiamo più di 50 donne transgender in questo sport - ha aggiunto la Thompson, intervistata dal Telegraph Sport -. E quello che sta succedendo, nell'indifferenza, è che le donne se ne vanno. Abbandonano senza nemmeno provare più a protestare».
Dura pure la reazione dell'argento olimpico canadese Alison Sydor, per la quale la partecipazione di Killips alla gara «non è diversa dal doping». Per la cronaca alle donne transgender era richiesto di abbassare i loro livelli di testosterone a 2,5 nmol/L per un periodo di 24 mesi prima di competere in eventi femminili.
Nel 2022 l'Uci ha inasprito le regole sull'ammissibilità, portando il livello a 5 nmol/L per 12 mesi.L'argomento è di una delicatezza estrema e di non facile soluzione, basti pensare che i vertici dello sport mondiale ne stanno dibattendo da anni, ma non si è ancora arrivati ad una soluzione univoca.
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