Luciano Spalletti non conosce il politicamente corretto. Non da ieri. Da sempre. E già questo è un punto a suo favore. Il Ct è il tipo che se qualcuno gli fa i complimenti per la giacca può sentirsi rispondere «perché quella di ieri era brutta?». Spalletti è pure quello che insegue, a mano tesa, un Massimiliano Allegri a testa bassa dopo averlo strapazzato cinque a uno. Spalletti è Spalletti anche quando se la prende con un giornalista, di fronte a una semplice domanda, o lo chiama al telefono per le scuse notturne. Con il senno di poi quell'incidente in terra di Germania fu l'annuncio di una catastrofe imminente, che si sarebbe consumata a Berlino contro la Svizzera qualche giorno dopo. Da allora si narra che ci sia un'altra Nazionale. Lo stesso per il Ct. Solo così l'entrata a gamba tesa su Simone Inzaghi potrebbe essere letta come il monito del più alto rappresentante alla sua categoria, quella degli allenatori. Dice Spalletti: «Mai successo che qualcuno mi abbia chiamato per queste cose, è una novità che mi ha sorpreso. Perché poi non so quali siano stati i rapporti precedenti: uno ti telefona, non lo conosci, non hai mai avuto a che fare con lui, penso sia difficile poterci scambiare parole. Io rispondo a tutti, ma so riattaccare». Parole che non ammettono fraintendimenti perché dette da chi si ritrovò in una situazione simile. Aprile 2023, anno dello scudetto napoletano. Vigilia del quarto di finale Champions di ritorno contro il Milan. Da tempo al Maradona gli ultras per contestare De Laurentiis non fanno il tifo per i giocatori lanciati verso il tricolore. Spalletti non usa scorciatoie in conferenza: «Con quello che ci giochiamo, se succede me ne vado via dalla panchina». Lui che dopo un Inter-Roma fuori da un ristorante milanese si sfogò con sei tifosi romani sconosciuti sul suo passato giallorosso e sul suo presente interista. Senza filtri. E poi finì sui giornali.
Toscano fino in fondo. Da Totti a Icardi. Ma adesso piace pensare che il messaggio sul caso Inzaghi faccia parte della narrazione su Spalletti prima e dopo Berlino. In campo e fuori. A patto che non sia mai politicamente corretto.
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