Il valore di quel... "No Scotland, No party"

In Germania attesi 200 mila tifosi della nazionale, unici nel loro genere

Il valore di quel... "No Scotland, No party"
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La svolta fu in una giornata di fine autunno australe, 7 giugno 1978, a Cordoba, Argentina. Seconda partita del girone 4 dei Mondiali: la Scozia, perso per 3-1 il debutto contro il Perù, doveva battere l'Iran per sperare di passare il turno, ma non andò oltre l'1-1. È vero, nella gara successiva sul 3-1 all'Olanda sarebbe bastato un altro gol per scavalcare gli arancioni, ma finì male: come disse poi il giornalista Ian Archer, da quel momento nessun tifoso scozzese ebbe più il coraggio di pensare che la nazionale potesse fare bene ai Mondiali o agli Europei. «Quattro anni dopo, in Spagna, c'erano 20.000 tifosi che si abbronzavano, bevevano e pensavano che bellezza, possiamo tifare, goderci la vacanza e sapere che comunque i nostri hanno dato tutto». Questa mentalità, magari incostante, è uno dei motivi per cui ogni grande evento viene arricchito dalla presenza dei tifosi scozzesi, e in Germania potrebbero essere addirittura 200.000. Tornando ad Archer, davvero PRIMA del 1978 qualcuno pensava che la Scozia potesse vincere? Altroché: e proprio quello fu l'anno in cui questa sopravvalutazione delle proprie forze, questo «guid conceit» o «themselves», raggiunse l'apice. Complice anche una dignitosa tournéè sudamericana nel 1977, gli scozzesi arrivarono alla conclusione che i Mondiali 1978 sarebbero stati trionfali. Complice fu addirittura l'allenatore, Ally MacLeod, un brav'uomo che si lasciò trascinare e disse «torneremo dall'Argentina con una medaglia». Il clima era tale che il 25 maggio venne organizzata ad Hampden Park una festa di arrivederci che divenne una surreale celebrazione anticipata: di fronte a 25.000 spettatori paganti, giro della pista su bus scoperto, cornamuse, un clima surreale manifestatosi anche nella gente ai bordi della strada per l'aeroporto. Il disastro successivo fu un contraccolpo clamoroso, ma anche una delle tante volte in cui la Scozia è arrivata ad un passo dal proseguire la corsa, salvo fermarsi sul più bello. «Brave Scotland», la Scozia tuttocuore ma sfortunata, diventò un tormentone: l'onnipresente «Yes Sir, I Can Boogie», successo del 1977 del duo spagnolo Baccara, diffuso dagli altoparlanti prima ancora dell'inarrivabile inno nazionale, «Flower of Scotland», e da poco anche «No Scotland No Party», inno ufficioso cantato con inconfondibile accento da Nick Morgan, un testo che strizzando l'occhio all'Argentina (e alla Mano de Dios che batté gli odiati inglesi) riassume le attese deluse, la forza e la debolezza di una tifoseria che, al netto della retorica, è come nessun'altra.

E però la debacle del 1978 è così scolpita nella

memoria che Steve Clarke, l'allenatore della rinascita, aveva detto qualche settimana fa «sarebbe bello un arrivederci ad Hampden Park, ma certamente senza giro di campo in bus. Ci basterebbe giocare una partita di calcio».

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