La voce buona del pallone che faceva rima con Nazionale

L'addio a Pizzul: dall'esordio in ritardo a Como all'Heysel fino a quella volta a Mosca da "guardone"

La voce buona del pallone che faceva rima con Nazionale

«Il numero selezionato è inesistente». Conoscendo Bruno, impossibile. Invece è così. Bruno Pizzul scende dal treno dei ricordi, ha voluto anticipare il compleanno, sabato 8, fanno ottantasette. Sì, uso ancora il presente, il tempo non deve fermarsi, un bicchiere di friulano per lui, Bruno, mola el bevi, stava scritto su uno striscione al Giants Stadium di New York, il giorno di Italia-Irlanda, al mondiale americano, la battuta era stata creata da Marco Milano, il comico di Mandi Mandi. Bruno replicò con un ghigno smorfioso dei suoi, Maria, la moglie, detta la Tigre, capì che alla popolarità del giornalista si accompagnava la fama del santo bevitore.

Balle, Bruno è stato un uomo retto, dall'infanzia a Cormons, la piana del Collio, la Slovenia è a un fiato, suo padre macellaio voleva portarlo a bottega, la madre preferiva che il frut studiasse, in verità l'aritmetica era il suo cartellino giallo, per un cinque in pagella scoprì il dono imprevisto del genitore, una bicicletta, veicolo decisivo, esclusivo della sua vita. Patente? Giammai, palla lunga e pedalare, libri e pallone, università, insegnamento di lingua e letteratura italiana e il football, prima, roba piccola di paese, poi, la trasvolata, Sicilia, il Catania, dove trova due friulani di Tarcento, Benito e Luciano Boldi, clamoroso al Cibali, Bruno partecipa all'evento, promozione in serie A, il 2 giugno del '60 amichevole contro la Juventus, Bruno marca Enrique Omar Sivori, la fotografia ribadisce la stazza del giovane furlan mentre sovrasta e trattiene il cabezon sul fango del Cibali, la Juventus vinse 5 a 2, due gol di Nicolé e Charles, uno di Sivori, per i siciliani Veglianetti e autogol di Sarti.

Ma c'era voglia di fare altro, di rientrare verso il continente, la Rai, il concorso, mica le spinte di partito, Pizzul incomincia l'avventura nel '69, un anno dopo, esordio al Sinigaglia di Como, spareggio di coppa Italia, quarti di finale, Juventus-Bologna, postazione Rai pronta, sedia vuota, Bruno è stato agganciato da Beppe Viola, un altro di quelli assunti per merito, si va di brindisi per celebrare la prima volta, nessuno controlla l'orologio, tempo quasi scaduto, Bruno si presenta al microfono quando la partita era incominciata da minuti quindici, nessuno sa dove fosse, nel frattempo, Beppe. Gli andò bene che il risultato fosse ancora fermo, Perani segna a sette dalla fine.

La prima volta non si scorda mai, Bruno non sbaglia più un appuntamento, passa la sua storia, vittorie, sconfitte, trionfi, gol, tragedie, l'Heysel prima di tutto e di tutti, voce ferma a narrare la morte idiota, pure la censura di un piccolo politicante per una frase ritenuta inopportuna, nessuna traccia, la carriera non ha graffi, non ha enfasi, il dizionario di Pizzul è quello di immediata comprensione, si va dal nonnulla al cincischia, inciampa, grappolo di uomini, come su un diario di scuola. Una vita con la Rai, la tuta aziendale, l'automobile di servizio color celeste metallizzato, con lui De Zan e Martellini, Ameri e Ciotti, Provenzali, fette di giornalismo che pochi possono capire, intossicati dal frasario contemporaneo dei docenti del kamasutra tattico, parole, parole, parole.

Bruno era amico di tutti nemico di nessuno, non aveva il tempo per la cattiveria, riusciva a risolvere gli imprevisti con la calma e l'astuzia delle origini. Nevicava a Mosca quella sera di ottobre del '97, l'Italia giocava lo spareggio di andata per i mondiali di Francia, i russi sghignazzavano vedendoci intirizziti in tribuna stampa, il capo dell'agenzia turistica, che organizzava le trasferte della nazionale, distribuiva bottiglie di vodka illudendoci che con l'alcool la temperatura sarebbe stata più dolce, alle nostre spalle Bruno stava rinchiuso, blindato, in uno stanzino con i vetri ghiacciati, non vedeva a due metri, raschiò con una penna fino a formare un buco, sbirciò come un guardone e così raccontò il gol di Vieri, l'autorete di Cannavaro, l'esordio del diciannovenne Buffon. Era questo il mestiere, senza lamenti per viaggi e postazioni, la lezione di Nick Carosio, radiocronista a cielo aperto, su una sedia a bordo campo, negli anni duri dell'Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche), era servita alle nuove generazioni. Bruno ne conservava il ricordo e il rispetto, scherzava con i compagni di cabina, Giacomo Bulgarelli fra tutti, si divertiva con Michel Platini discutendo di vini francesi, sapeva di football come pochi ma non ne approfittava per spiegare il quinto, la ripartenza e la densità che riempiono la bocca dei contemporanei zatteranti in tivvù e in streaming.

Quando si concluse la sua lunga carriera con la Rai, solite parole di repertorio, ringraziamenti validi per chiunque, nessun riconoscimento e nessuna riconoscenza, via, partita finita.

Ma non per questo acido epilogo, Bruno abbia mai pronunciato una sola parola aspra. Non era il suo stile, non era la sua educazione. I tre figli e Maria sono fieri di avere avuto un padre e un marito di tale storia. Un bicchiere di bianco friulano, grazie di tutto. Mandi, Bruno.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica