Santa Caterina L'aperitivo in Val Gardena vien servito alle 11,15 del mattino, quando ingannando l'attesa per il cinquantenario della discesa sulla Saslong, ci si godono le immagini in arrivo dalla Val d'Isère che raccontano una doppia rinascita. Nel superG che sostituisce la discesa annullata per troppa neve, Lindsey Vonn e Sofia Goggia azzeccano un uno-due scaccia crisi, dimostrando una volta di più che a fare la differenza nello sci è soprattutto la testa. È lì che scatta quel click che all'improvviso fa cambiare atteggiamento e di conseguenza sciata, apparsa insicura, indecisa, remissiva fino alla gara precedente e tornata, nel giro di un minuto, vincente e da podio. Lindsey e Sofia, parse smarrite e confuse nelle ultime gare, si sono così ritrovate a festeggiare assieme il ritorno a quella che per loro va considerata normalità, il primo posto per l'americana (vittoria in carriera numero 78, meno 8 dal record di Stenmark inseguito con feroce determinazione) e il podio per l'azzurra, 14° personale in poco più di un anno. «Mi sono tolta un enorme peso dalla spalle, ho cercato di concentrarmi solo su me stessa e sulle mie sensazioni senza pensare al risultato, cosa che finora forse mi aveva un po' bloccato» ha detto Sofia, davvero brava a trovare la forza di uscire da un momento difficile, causato soprattutto dalla mancanza di serenità.
Lo stesso si può dire di Lindsey Vonn, che su livelli certamente diversi sentiva un blocco mentale molto simile a quello dell'azzurra, aggravato nel suo caso dall'ascesa prepotente di Mikaela Shiffrin, la nuova stella americana che persino nelle sue gare, quelle di velocità, cominciava a farle ombra e a farla sentire vecchia e superata. Ma quando mai? Senza Shiffrin fra i piedi e davanti agli occhi (Mikaela ha saltato la tappa di Val d'Isère per concentrarsi sulle prove tecniche di martedì e mercoledì a Courchevel) Lindsey è tornata a volare, e a vincere. Indomita, infinita e felice.
Quasi come Aksel Lund Svindal, e torniamo in diretta da Santa Cristina, che nella discesa gardenese non lascia scampo ai rivali sciando alla perfezione per i quasi due minuti di gara su una pista resa spettacolare dal ghiaccio vivo e dai dossi. Il norvegese in prova si era risparmiato per evitare stress alle sue ginocchia doloranti, ma «la gara è la gara e mi è venuta proprio bene!». Se ne sono accorti i rivali, primo fra tutti il compagno di squadra e grande amico Kjetil Jansrud, battuto per 59/100, ma felice nel rendere onore al re della velocità, tornato finalmente al posto che gli spetta dopo due anni di tribolazioni fra un infortunio e l'altro. E se Christof Innerhofer se n'è andato felice per il quinto posto che è il suo miglior risultato della carriera in questa discesa e Dominik Paris, sesto, sta ritrovando la fiducia e la sciata giusta, Peter Fill ha vissuto una delle giornate più nere della carriera, rovinata ulteriormente dallo sfogo rabbioso al traguardo, quel lancio dello sci sulla neve che ha lasciato tutti, e in particolare gli uomini dell'azienda di cui difende i colori, a bocca aperta.
Peter ha poi chiesto scusa e a freddo ha spiegato come il 57° posto a oltre tre secondi da Svindal sia figlio di un problema con le lamine dello sci sinistro, rovinate da una pietra nella parte alta della pista. «Potrei scrivere un libro sulle disavventure che ho vissuto su questa pista, davanti al mio pubblico. Mi dispiace, sentivo la pressione ma era positiva, scendendo però non stavo in piedi». Amen.
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