Sposetti, il cassiere che sbanca sempre

RomaAlla fine tutto si risolve in una questione di quattrini, dicono i qualunquisti. E a volte non sbagliano, se c’è chi arriva a leggere le ultime vicende del Partito democratico, compresa l’uscita di scena di Walter Veltroni, come un riflesso della guerra per la cassa. O meglio della «guerra dei tesorieri» che ha accompagnato le agonie dei Ds e della Margherita e che - come dimostra il monito di Dario Franceschini - cova ancora sotto le ceneri del Pd.
Le prime avvisaglie ci furono già ai tempi di Romano Prodi quando i responsabili delle casseforti di Ds e Margherita incrociarono le spade con lo staff del Professore che chiedeva soldi per la campagna elettorale. Risposero in coppia: «Abbiamo già dato». Parsimonia verso un outsider del quale l’apparato si fidava poco, si disse allora. E l’apparato c’entrava sicuramente visto che il protagonista era Ugo Sposetti, mitico e riservatissimo tesoriere destinato a passare alla storia politica per tre imprese: cancellare quasi del tutto il debito-mostro di Botteghe oscure; uscire in piedi dalla pubblicazione di intercettazioni ai tempi del caso Unipol ed infine la lotta per non fare uscire i beni di famiglia dal perimetro post Pci.
Sposetti rispuntò fuori in questa veste poco dopo, contro il collega della Margherita, Luigi Lusi che era stato suo alleato nel contrastare le pretese di Prodi. La polemica fu interpretata da lui stesso in chiave matrimonialista. L’unione da celebrare era quella tra i due partiti, la famiglia da creare quella del Pd. «Luigino e Ughetta, che sono io, vanno all’altare poveri in canna, ma se Ughetta ha un po’ di patrimonio e Luigino ha un po’ di soldi, quel che devono dire al sindaco è: separazione!». Salvo che poi il coniuge più poverello, Lusi, non si metta di traverso e prema per la comunione dei beni.
Una soluzione drastica fu tentata da Walter Veltroni quando, fondando il Pd nell’ottobre del 2007, annunciò la nomina a tesoriere del Partito di Mauro Agostini. Stessa pasta di Sposetti - uomo di partito capace di gestire il potere dove il partito ha veramente potere, l’Umbria - ma con un progetto diverso: traghettare tutti i beni del vecchio Pci e i soldi della Margherita nel nuovo Pd. Cancellare ogni traccia del vecchio partito, anche nei modi di gestire le finanze.
Per un po’ di Sposetti si sentì parlare poco. Poi, due anni più tardi, rispuntò fuori. Si scoprì che era ancora «tesoriere dei Ds» - che erano stati sciolti politicamente, ma non amministrativamente. E venne alla luce quello che solo gli iniziati sapevano e cioè che dal partito della Quercia erano venute fuori 55 fondazioni intitolate ai Democratici di sinistra con il compito preciso prendersi i 2.400 immobili del partito. Scialuppe di salvataggio con dentro «60 anni di storia» messe in mare prima del varo della nave Pd. Veltroni si aspettava tornassero indietro, ma non avvenne. Un segnale di sfiducia verso il neonato partito che prese malissimo. I retroscena dell’epoca danno conto di incontri tra Veltroni e Sposetti tesissimi. «Cos’è questa fondazione? Non è normale», protestava il primo. Sarà, ma ormai «c’è. E il Partito democratico è un’altra amministrazione», era la replica irriverente del secondo.
Quale fosse l’obiettivo «non esplicitato» di Sposetti e anche di Lusi, lo spiega Agostini in un libro intitolato Il Tesoriere. «Dare vita a una sorta di triumvirato» dei tre ministri del tesoro di Ds, Margherita e Pd, «di cui però i veri sovrani avrebbero dovuto essere Sposetti e Lusi». Gil azionisti di maggioranza volevano tenere sotto scacco il Pd. E lo strumento era stata la creazione delle famose fondazioni con dentro gli immobili che furono del Pci.

Un’operazione che «per opacità del percorso determinava una sostanziale privatizzazione» del mattone rosso. A distanza di due anni la situazione patrimoniale della sinistra è la stessa. Quella politica, invece, è cambiata molto. I segretari, e i partiti, passano; gli Sposetti restano.

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