Paolo Marchi
nostro inviato a Pragelato
Nel venerdì del commiato olimpico di Gabriella Paruzzi, da prima a Salt Lake City a quinta ieri dopo trenta chilometri e due cadute, si è compiuto il destino dorato di Katerina Neumannova, di una ceca che ha saputo dare il meglio di sé dopo la maternità, un destino non nuovo ma che, in ogni caso, fa sempre specie anche perché il quadretto dell’arrivo ieri è di quelli che entrano nella galleria delle migliori cartoline di questi Giochi. C’è lei, Katerina, che sprinta in vista del traguardo con la russa Tchepalova, madre a sua volta, e la sorprendente polacca Kowalczyk, già più sfumate all’orizzonte la norvegese Steira e la friulana, e c’è l’altra Neumannova, Lucia, due anni e mezzo, che corre a passetti brevi verso mamma infischiandosene del protocollo e dei divieti.
In dirittura era entrata per prima la polacca, che aveva fatto selezione nelle due ultime salite, poi la russa e solo per terza la ceca che si allargherà sulla destra a falcate secche e decise, pochi passi da airone e lascerà che le due avversarie se la vedano per argento e bronzo. Giornata di freddo e neve, di quelle che uno apre la finestra e se ne tornerebbe subito a letto e invece il programma prevede impegno per tutte e gioia per tre appena. Ed eccole le fondiste dannarsi a metà giornata per uno, due, tre, dieci, venti chilometri: una dozzina di atlete procederanno pressoché compatte e il gruppo inizierà a sfilacciarsi solo nei tre o quattromila metri conclusivi.
La Paruzzi, già a terra al 16° km per avere messo uno sci sulle code di una che la precedeva, resisterà poco più della Valbusa. Sabina andrà in rosso a due chilometri dall’arrivo, Gabriella rimarrà aggrappata al sogno di un bis ancora per un paio di minuti poi appoggerà male un bastoncino a terra, cadrà e, pur rialzandosi, non avrà più lo spirito e le forze per tornare sotto alle migliori.
Bello l’esempio che arriva dalla Neumannova, una trentatreenne che capì solo a 16 anni di avere un futuro nello sci nordico, dopo averlo cercato nello sci alpino, nel kayak fluviale e nel tennis, e a quell’età da teenager non doveva nemmeno essere troppo convinta, perché a metà anni novanta andava così bene in mountain bike da formare in solitudine la nazionale del suo Paese: 16ª ad Atlanta, nella gara vinta dalla Pezzo. Poi il fondo prese il sopravvento: terza nella coppa del mondo ’97 (e seconda nel 2002 e nel 2005) e terza ai mondiali, seconda e terza alle Olimpiadi di Nagano nel ’98, ancora terza ai mondiali ’99 e due volte seconda alle Olimpiadi del 2002. Detta brutalmente: una perdente di successo. «Poi mi sono sposata e soprattutto è nata Lucia, il primo oro della mia vita». Da mamma ha trovato qualche secondo in meno: campionessa del mondo l’inverno scorso, qui a Pragelato sembrava essere tornata indietro, argento nella combinata. «Sull’ultima salita mi sono detta che questa era la mia ultima gara e che non potevo fallire. Non so proprio come abbia fatto a impormi in volata, sprintare non è stata mai una mia qualità tanto che credevo che avrei preso l’ennesimo bronzo. Non so proprio cosa sia successo dall’ultima discesa al traguardo, è un sogno dal quale non vorrei riprendermi mai. E poi c’era Lucia a guardarmi: viene con me perché non ho abbastanza soldi per pagarmi una baby-sitter».
Ultima gara olimpica in carriera per la Paruzzi: «Le due cadute non sono dovute a sfortuna, ma a errori miei, chiaro che senza sarebbe stata un’altra gara ma nel finale non ne avevo più, piena di acido lattico com’ero. Ciò nonostante mi sono divertita come una matta.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.