La stampa di tutta Europa attacca l’Italia: «Ridicoli»

Coro di critiche dopo l’intesa a Lisbona Per Prodi un mezzo fallimento: alla pari con Londra ma sorpassati da Parigi

nostro inviato a Lisbona
Fa il suo ingresso in sala stampa con un sorriso smagliante, pronto a celebrare la sua «vittoria». Poi s’irrita perché qualcuno gli chiede di commentare le reazioni della stampa francese («Italiani ridicoli»), e prende fuoco quando gli fanno notare come il passaggio dai residenti ai cittadini per il 2014, che lui esalta come risultato strappato al summit, sia in realtà il frutto di un emendamento di Forza Italia votato dall’Europarlamento («Ma siamo noi che l’abbiamo applicato»). Fino a cedere di schianto quando gli fanno sapere - impietosi - che mentre lui sventolava quell’europarlamentare in più ottenuto dopo una nottata complessa, Merkel, Sarkozy e Brown andavano intanto diramando una nota congiunta sui mercati finanziari da cui l'Italia era stata tenuta in disparte. «Non ho notizie di cosa sia e a cosa serva», sbottava.
Certo Romano Prodi non si aspettava sventolii di tricolori da parte della stampa italiana, ma nemmeno l’acre animosità che l’ha accolto dopo aver passato una serata a mendicare una compensazione dell’europeismo suo e dell’Italia. «Siamo partiti in salita, ma contavo sui tanti anni di lavoro fatti in Europa e speravo in un riconoscimento», gli è scappato ad un certo punto. Quasi fosse dipeso da lui in persona, e non dalle litanie di protesta salite in tutto il Paese, la restituzione della parità almeno con la Gran Bretagna nel numero dei seggi di Strasburgo.
È andata non malissimo, ma male. Intanto perché il «principio» rivendicato di parità con Parigi e Londra non è stato raggiunto coi francesi («Loro sono di più», l'ammissione finale che certo era conosciuta anche al tempo dell’annuncio di un possibile veto). Ma poi, ancora e soprattutto per i commenti ironici che gli sono piovuti addosso da tutta Europa. I giornali portoghesi hanno ironizzato sul fatto che, da ex-presidente della commissione, pretendesse di guidare il concerto. Un deputato spagnolo, Inigo Mendez De Vigo, ha parlato acidamente «di un prezzo pagato al sentimentalismo italico». Dal Belgio si denuncia la «soluzione rocambolesca» per soddisfare «le pretese italiane». E anche da Roma, se si escludono i dovuti ringraziamenti di Veltroni (per cancellare il sospetto di non vedere l’ora che il governo tiri le cuoia), in pochissimi a sinistra si sono spencolati in congratulazioni. In più l’apparire del direttorio Londra-Parigi-Berlino non deve aver fatto per nulla piacere al Professore. Anche perché, come ha tenuto a sottolineare, lui vorrebbe giocarla la partita del 2009, quando - in un botto solo - la Ue dovrà nominare presidente dell’Unione (2,5 anni di incarico, rinnovabili per un mandato), presidente della commissione, vice-presidente e ministro degli Esteri e presidente dell’Europarlamento: «Una partita aperta a tutti», ha precisato, pensando forse a D’Alema.

Non sapendo che, nelle stesse ore la Merkel andava dicendo che stavolta il presidente della commissione tocca ai socialisti e che i popolari mirano invece al vice e ministro degli Esteri. Torna a Roma Prodi, meno convinto di averla spuntata come aveva tenuto a far sapere la scorsa notte. Anzi, con una preoccupazione in più: la sua Italia in Europa conta davvero poco.

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