Lo Stato ignora i tesori nascosti nelle Procure

Il responsabile dell’ufficio depositi: «Provvedimenti del 2000 attendono ancora di essere eseguiti»

Stefano Zurlo

da Milano

Ventidue milioni di euro dimenticati nella filiale Bnl del Palazzo di giustizia teatro di Mani pulite. Soldi che rappresentano il frutto di numerose inchieste compiute negli ultimi quindici anni, ma che restano lì. Immobilizzato il tesoretto sequestrato a suo tempo al «compagno G» Primo Greganti, congelati i denari di un filone Enimont e in letargo quelli di tante altre operazioni giudiziarie lontane dai riflettori dei media ma non meno importanti. In Procura spiegano che, paradossalmente, quello è solo un aspetto del problema. E nemmeno il più rilevante. L’epicentro del collasso dello Stato è al primo piano della cittadella ambrosiana, all’ufficio depositi giudiziari, nome tortuoso per indicare quella esilissima stuttura che dovrebbe agire come il braccio della giustizia. Spiega Vincenzo De Peppo, responsabile dell’ufficio: «Noi entriamo in azione quando il magistrato firma un provvedimento definitivo: la confisca o la restituzione dei soldi sequestrati tanto tempo prima. Se c’è la confisca noi emettiamo un mandato di pagamento e insomma avviamo l’azione con cui finalmente lo Stato, attraverso il concessionario Esatri, incamera quei soldi o quei beni».
Sembra facile, un passaggio burocratico e nulla più ma non è così. De Peppo allarga le braccia: «Io sono arrivato qua, a Milano, nel 2002. Il collega che mi aveva preceduto era stato sommerso da un carico di lavoro mostruoso per via dell’unificazione di preture e tribunali. Con pochi mezzi e zero possibilità di straordinari si fa quel che si può».
Ovvero, lo Stato rinuncia ad incassare quel che è suo. Le cifre? «Come faccio a saperle?», chiede a sua volta De Peppo. Risposta disarmante che la dice lunga sulla gestione scriteriata di queste strutture. Il funzionario prosegue: «Diciamo che nelle mie stanze c’è un arretrato voluminoso». Quanto? De Peppo zooma sul dettaglio: «Non posso precisarlo, ma proviamo a definirlo a spanne: 15 faldoni, ciascuno dei quali contiene 200-300 libretti. Ogni libretto può portare in dote allo Stato poche o molte migliaia di euro. Dipende. In ogni caso il totale parcheggiato da anni ammonta, solo a Milano, a diversi milioni di euro».
Eccola la giustizia che ansima e che non trova nemmeno più gli spiccioli per pagare le penne o le fotocopie o la benzina delle auto di servizio. Le risorse scarseggiano, i bilanci sono ridotti all’osso, gli investimenti sono azzerati ma il tesoro è sotto i piedi dei magistrati. Letteralmente. Nello stesso Palazzo.
Velocizzare? De Peppo non si scompone: «In un anno in media riesco a sbrigare quattromila pratiche, ma nel calderone finiscono anche quelle civili. Nel 2006 ho fatto la mia scelta: ho spinto sul penale, privilegiandolo rispetto al civile e forse recupereremo di più». Forse. «Per un certo periodo ho lavorato da solo, adesso ho un aiuto più un cancelliere part time, ma smaltire l’arretrato non è facile».
La montagna dei faldoni si è abbassata, ma è sempre lì, incombente come una cima alpina. «Ci sono provvedimenti di confisca del ’98- ’99-2000 che aspettano di essere eseguiti. E se si va a vedere quei libretti ci si mette le mani nei capelli: si tratta di somme sequestrate nell’89, nel ’90, nel ’91. Cerco di rimediare, ma mi sono dedicato prima al passato prossimo e ai casi più clamorosi».
Un quadro desolante. E non è che altrove il cielo sia più azzurro. «Posso dire - aggiuge De Peppo - che il mio ufficio è diventato un punto di riferimento per i colleghi di tutta Italia. Ci telefonano, ci consultano quotidianamente, ci chiedono aiuto. Ma i nostri problemi, le nostre difficoltà, la pochezza dei mezzi e la farraginosità delle procedure sono le stesse in tutta Italia». Risultato: lo Stato arriva, se arriva, con imperdonabile ritardo a riscuotere il dovuto. «Io penso che una stima delle cifre e dei beni confiscati ma non ancora nella disponibilità dello Stato sia impossibile, ma certo parliamo di decine, se non centinaia di milioni di euro».
Dunque, la tanto bistrattata giustizia avrebbe la chance di reperire sul campo molte delle risorse elemosinate quotidianamente ai Palazzi della politica. Ma i budget, a quanto pare, non sono una priorità.
Del resto il capitolo confische è una goccia nel mare degli sprechi.

Lo Stato ha incassato nel 2005 non più di 70 milioni di euro alle voci spese processuali e condanne pecuniarie. E ha perso o dimenticato almeno 600 milioni. Numeri ballerini perchè nessuno ha mai affrontato seriamente l’argomento.

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