«Stavolta l’Italia sarà unita nella guerra al dittatore»

Guerra? «Guerra». Ci sono parole che fanno paura solo quando sono vere e te le senti addosso. Quante volte dici guerra? Solo che adesso resta lì, intrappolata nel palato, con uno strano pudore. Meglio non scherzare con gli dei. La guerra è altrove, dall’altra parte del Mediterraneo. E se chiudi gli occhi sembra lontana. Walter Veltroni ha appena lasciato Montecitorio. Ha votato sì alla risoluzione Onu sulla Libia. Come il Pdl, come l’opposizione. Lega e dipietristi assenti o astenuti, per marcare la differenza. Ma di fronte a certe storie non esistono frontiere e barricate. L’idea, dalla mattina, era di sentirsi al telefono e parlare di questo: della guerra.
Gli aerei italiani viaggeranno verso la Libia. Come si chiama questa?
«Non ci sono molte parole».
Guerra?
«È una parola che la mia generazione fatica a riconoscere. Non ci appartiene. È qualcosa che ha a che fare con i ricordi dei padri e dei nonni. È il sangue di quelle due guerre combattute in pochi anni. Solo che adesso dobbiamo essere realisti. Non chiudere gli occhi. La guerra c’è ed è quella che un dittatore ha scatenato contro i cittadini libici che chiedono libertà».
È inevitabile?
«Dipende da Gheddafi. La risoluzione dell’Onu è un deterrente».
L’obiettivo?
«Far finire una guerra che già c’è».
Quali carte ha in mano Gheddafi?
«Non molte. Dove va? Ha contro l’Onu, l’Occidente e la lega araba. Può solo arrendersi».
Ci sono margini di trattativa?
«La libertà della Libia. Questo significa che come ha chiesto il Consiglio Europeo Gheddafi se ne deve andare. È l’unica trattativa possibile».
L’Europa ha perso tempo?
«Troppo. I Paesi arabi chiedono alla comunità internazionale di intervenire e noi divaghiamo con interminabili conciliaboli. Ogni volta che il mondo musulmano fa un’apertura verso di noi la nostra risposta è fiacca. Non ci lamentiamo se poi cresce la diffidenza verso l’Occidente».
Francia e Germania divise. I tedeschi sono di fatto molto freddi sull’intervento in Libia.
«È un peccato che l’Europa abbia questo atteggiamento di imbarazzo. Ancora una volta siamo divisi e deboli davanti a una crisi a un passo da casa. Non possiamo sempre chiedere aiuto agli americani. La soluzione sarebbero gli Stati Uniti d’Europa, una politica estera e di difesa comune. Fino ad allora sarà sempre così».
L’America non appare centrale in questa crisi. Vive i dubbi di un impero riluttante. Magari anche Obama ha le sue responsabilità.
«Anche l’America ha risposto in ritardo. Non è più un impero. Ma la scelta di Obama di aprire al mondo musulmano è una svolta importante. È un passo in avanti verso la democrazia globale. Quello che sta accadendo nel Nord Africa, con la caduta delle dittature, con l’89 del Maghreb, arriva dopo il discorso del Cairo. E lì Obama ha avuto coraggio. Ha cambiato la politica dell’Occidente».
E l’Italia?
«L’Italia?».
Forse è il caso di lasciare da parte i battibecchi domestici.
«In Parlamento tutti quelli che hanno votato sono stati compatti. La Lega è rimasta fuori, l’Idv si è astenuto, ma non ci sono stati voti contrari. È la dimostrazione che davanti alle grandi questioni siamo più responsabili di quanto sembri. Giusto o sbagliato questo è il mio Paese. Lo stiamo dimostrando».
Non c’è solo la guerra. La Sicilia è terra di sbarchi. Che si fa?
«Non c’è una ricetta pronta. La soluzione non è facile. Ognuno in questi casi segue una bussola etica personale e si interroga con la propria coscienza. Ci sono i problemi degli abitanti di Lampedusa. C’è la difficoltà a trovare spazio per tutti in Italia. Ma non si può neppure rimandare indietro chi sta scappando dalla fame e dalla guerra. Una cosa è certa: l’Italia da sola non c’è la può fare. Come ha ricordato Maroni questo è un problema che riguarda tutta l’Europa. Noi possiamo fronteggiare l’emergenza, ma senza una politica di solidarietà comune resta solo la tragedia».
La guerra è solo un’ombra. Gli italiani si chiedono cosa accadrà. C’è paura. Dicono: e se Gheddafi se la prende con noi?
«Lo capisco, ma si rischia molto di più a rimanere fermi. Lasciare un dittatore nel Mediterraneo in queste condizioni è un pericolo costante».
Gheddafi era dittatore anche prima. O lo abbiamo sottovalutato?
«Sì. Non sono ingenuo. Capisco le ragioni della realpolitik, ma non bisogna mai dimenticare con chi abbiamo a che fare. Anche la Dc dialogava e stipulava patti e contratti con i sovietici, ma era realista. Sapeva bene chi aveva di fronte. Questo noi lo abbiamo dimenticato.
Tutti?
«Tutti. Anche se le visite negli ultimi due anni con i cammelli, le amazzoni e il bacio dell’anello sono state eccessive. Sono andate oltre il limite».


Onorevole Veltroni, sinceramente non può dire che la differenza la fanno cammelli, amazzoni e anelli. Si rischia l’ipocrisia.
«Per me anche le forme di un rapporto diplomatico fanno la differenza. Lo considero uno spettacolo poco degno. Come si è dimostrato».

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