A un Sergio Leone, ormai in là negli anni, si attribuisce una frase: «Quando ero giovane credevo in tre cose. Il marxismo, il potere redentore del cinema e la dinamite. Oggi credo solo nella dinamite». La dinamite è uno dei motori dei suoi western, in senso metaforico e di trama. Una lezione che il cinema ha metabolizzato sino a digerirla. Ad esempio in Quentin Tarantino che è western anche quando non lo è, diventa maniera, citazionismo.
Le serie televisive, avendo raggiunto la maturità artistica a partire dagli anni Duemila, quando hanno iniziato a competere seriamente con i film, hanno assimilato la sua lezione molti anni dopo la sua morte. E forse per questo in maniera più radicale e cupa. Tra il buono, il brutto e il cattivo hanno prevalso gli ultimi due. Per rendersene conto basta guardare la mini serie western del momento. È su Netflix e si intitola American Primeval, caratterizzata da un violentissimo realismo. Anche se ha soltanto sei episodi, guardandoli tutti assieme si rischia di esserne schiacciati. Non per limiti narrativi, anzi, ma per la sovrabbondanza di temi che necessitano di essere digeriti, visto che non ci sono sconti o pappette condite con il politicamente corretto. Con un ruvidissimo e convincentissimo Taylor Kitsch tra i protagonisti, l'archetipo eastwoodiano è scontato: American Primeval è un prodotto cupo e affascinante, tragico nella narrazione e nel finale che, però, riesce a lasciare qualche barlume di speranza sull'essere umano. Ma vediamo la trama di questo viaggio nel tempo che porta al 1857. Il pubblico viene catapultato al seguito di una donna e di suo figlio in fuga nello Utah della grande corsa alla terra. I due precipitano tra coloni speranzosi e mercenari, tra cacciatori di taglie male in arnese e indiani straccioni ma feroci. Però attenzione: molti di quelli nominati, in fondo sono i «buoni». I veri cattivi di American Primeval sono i mormoni, predoni mascherati e fanatici religiosi - pregano con la Colt - che sfruttano i conflitti tra pionieri e nativi per espandere il proprio potere e accaparrarsi i territori più ampi. Sono mondi diversi che non comunicano e, nel tentativo di rifondare un eden, rapidamente precipitano in un abisso prima individuale e poi collettivo. Inutile dire che la donna in fuga, Sara Rowell (interpretata da Betty Gilpin) ha molto in comune con la Jill McBain (Claudia Cardinale), prima vera eroina da western, di C'era una volta il West.
Ma le orme di Leone si trovano anche in altre due serie dell'ultimo decennio.
In Godless di Steven Soderbergh c'è un cattivo assoluto come il misticheggiante Frank Griffin (un Jeff Daniels in stato di grazia, o meglio di possessione demoniaca) e in Westworld il West falso dei robot sembra modellato su quello di Leone, e proprio per questo diventa orrendamente vero. La dinamite di Leone aveva una miccia molto lunga.
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