La Storia infinita di Montanelli

Una nuova edizione dell'opera di Montanelli dedicata all'amata-odiata Italia. Più che un bestseller, un classico

La Storia infinita di Montanelli

Monumentum aere perennius, un monumento più duraturo del bronzo. Dopo 45 anni dall’uscita del primo volume, dopo 22 libri che coprono i secoli fra il Medioevo e Berlusconi, dopo sette milioni di copie complessive vendute, dopo essere diventata il testo di divulgazione storica più diffuso e letto nel Paese, la Storia d’Italia di Indro Montanelli è diventata - entrando nella leggenda - un monumento culturale, oltre che un capolavoro editoriale. Eppure tutto era iniziato con la semplice idea di raccontare i fatti del passato non agli accademici e ai professoroni, ma alla gente comune, a «quelli che la Storia non la sanno».

Raccontando il passato a quelli che la Storia non la sanno, Montanelli ha finito per insegnarla ad almeno un paio di generazioni di italiani, e continua a farlo ancora oggi, visto che Rizzoli ha riportato la Storia montanelliana in libreria, per l’ennesima volta: nell’edizione Bur attualmente in corso, a cura di Sergio Romano, sono già stati pubblicati i primi sette volumi dell’opera, quelli scritti a quattro mani con Roberto Gervaso (da L’Italia dei secoli bui a L’Italia giacobina e carbonara), mentre a gennaio usciranno L’Italia del Risorgimento, L’Italia dei notabili, L’Italia di Giolitti e L’Italia in camicia nera, dopodiché, dal giungo del 2011 fino all’inizio del 2012, sarà la volta dei 12 titoli firmati insieme a Mario Cervi, da L’Italia littoria a L’Italia dell’Ulivo. Un buon modo per festeggiare il 150° anniversario dell’Unità nazionale.

Sorta di “biografia controcorrente” dell’Italia, scritta dal migliore degli anti-italiani, la Storia di Montanelli è l’opera popolare di cui il Paese aveva e ha bisogno, anche se molti accademici e storici di professione all’inizio storsero il naso e poi, sopraffatti dal successo di pubblico, certificarono anche quello di “critica”. «Io non sono uno storico. Sono soltanto un divulgatore - scrisse Montanelli nell’estate del ’66 in una lettera di ringraziamento a Gioacchino Volpe, che aveva espresso al sua stima per il primo volume, dedicato ai “Secoli bui” -. Ma come divulgatore ho l’orgoglio luciferino di considerarmi bravo e persino “necessario”. Necessario voglio dire, al 90 per cento dei lettori, forse al 98. Ma Lei è proprio uno degli altri due...».

E infatti, il 98 per cento degli italiani, o quasi, dal 1965 a oggi, hanno continuato ad acquistare, a “collezionare”, a riporre ordinatamente nella libreria di casa, e forse persino a leggere, la Storia che Montanelli andava scrivendo ora con l’“allievo” Roberto Gervaso, ora da solo, ora con l’amico Mario Cervi. In ossequio all’imperativo editoriale secondo il quale delle grandi opere non si butta nulla, e anzi vanno spremute fino al midollo, la Storia d’Italia è apparsa in edizione di lusso, cartonata, in brossura, in economica, in tascabile, in cofanetto, in fascioli, illustrata, in allegato ai quotidiani (quando il Corriere della sera nel 2003 regalò a scopo promozionale il primo volume dell’opera, esaurì in un giorno la tiratura di un milione e 300mila copie). Bestseller d’Italia.

L’aspetto più curioso, e che tutte le altre «Storie d’Italia», i tentativi d’«imitazione» e persino i modelli, oggi appaiono datati, vecchi, superati. Quella di Montanelli&soci invece è senza tempo. Come tutti i classici, appunto. E come tutti i classici ha sempre un nuovo pubblico e un nuovo mercato.

Del resto, anche la Storia è sempre identica. Il segreto sta nel saperla raccontare in un modo nuovo. «Tutto quello che qui racconto - scrive Montanelli nell’introduzione alla Storia di Roma, libro che non fa parte dell’opus magnum ma ne è il degno prologo - è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, in uno stile più piano e facilmente accettabile dalla grande massa dei lettori, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti di una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che ce li nascondevano». E così fece - strizzando l’occhio al lettore, prendendosi qualche licenza, togliendo paramenti e aggiungendo qualche giudizio piccante - per due millenni e mezzo di storia, e anche di più. Da Romolo e Remo fino a Silvio e Romano.

A convincere Montanelli a «inventarsi» il mestiere di storico fu nientemeno che Dino Buzzati quando, negli anni Cinquanta, gli chiese di scrivere per la Domenica del Corriere una storia di Roma. «Il successo fu tale che scoprii quanto desiderio gli italiani avessero di storia, di una storia vera, raccontata in una lingua accessibile a tutti. È un esercizio di umiltà cui mi sono applicato. La capacità me l’ha data il giornalismo», confessò in seguito il grande giornalista.
E così, in una lingua accessibile a tutti, con umiltà e con orgoglio, in modo chiaro ma anche divertito, Montanelli continuò a raccontare.

All’inizio scrivendo tutto di suo pugno, poi lasciando scrivere tutto a Mario Cervi, pur “dettando” la linea. Finché, nel 1997, trentadue anni dopo aver iniziato e quattro prima di morire, decise di fermarsi semmai demandando a Cervi il compito di continuare.

«Ho smesso di credere all’utilità di una storia scritta al di fuori di tutti i circuiti della politica e della cultura tradizionali», disse. Aggiungendo: «Ad essere sincero, ho smesso di credere all’Italia». Anche quella volta Cervi fu d’accordo con lui.

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