"Caduti in Corea", storia di piloti coraggiosi in una guerra dimenticata

Al principio della guerra di Corea due piloti dimostrarono al mondo il valore della fratellanza che superava ogni barriera, anche quella razziale che aveva ostracizzato un eroe come Jesse Brown: il primo pilota afroamericano dell'US Navy

"Caduti in Corea", storia di piloti coraggiosi in una guerra dimenticata

Ci sono storie che hanno un lieto fine. Quelle che preferiamo raccontare di solito. Questa purtroppo non lo ha. Jesse Brown, primo pilota afroamericano della U.S. Navy, è infatti morto in combattimento a seguito delle ferite riportate nell’atterraggio di fortuna del suo caccia imbarcato Vought F4U-4 Corsair mentre era di ritorno da una missione nei cieli della Corea in un freddo dicembre.

È una storia poco nota in Europa, di una guerra poco nota nel mondo, quella combattuta tra il 1950 e il 1953. La Guerra Fredda rischiò di riscaldarsi davvero ai margini del 38° parallelo. Quando sono stato in Corea del Nord, ricordo bene dei racconti della loro versione della storia, ma più di tutto, ricordo le immagini dei loro trofei di guerra: molte erano carcasse d’aeroplano con la stella bianca sulla livrea blu scura recuperate dopo essere cadute “dietro le linee”; proprio come il Corsair assegnato allo squadrone di caccia VF-32 sulla portaerei USS Leyte, inviata con la Fast Carrier Task Force 77 al largo della penisola coreana per assistere le forze delle Nazioni Unite, impegnate a monitorare la crisi e “bilanciare” le forze in campo dopo l'intervento della Repubblica Popolare Cinese.

Quel giorno, 4 dicembre 1950, la formazione di sei aerei decollati dalla Leyte aveva ricevuto l’ordine di portare supporto ravvicinato alle unità di Marines che erano rimaste accerchiata da forze cinesi e coreane che le soverchiavano in numero di dieci a uno. La missione prevedeva una serie di raid a bassa quota per alleggerire la pressione nemica nel settore di Chosin Reservoir, con l’obiettivo secondario di “sondare” forza ed entità delle truppe cinesi presenti nell’area.

I Corsair sganciarono i loro razzi da un altitudine di soli 210 metri da suolo, e mitragliarono le truppe avversarie a terra fino ai limite della loro autonomia, fino a quando arrivò l’ordine di rientrare. Fu allora che il guardiamarina Jesse Brown, mezzadro del Mississippi che si era guadagnato le ali della Marina, riscontrò problemi alla pressione dell’olio.

Penso di essere stato colpito. Ho perso la pressione dell’olio”, comunicò alla radio, e gli aerei in formazioni confermarono che il caccia marcato con il numero 203, quel giorno codificato come “Iroquis 13”, in effetti si lasciava alle spalle una lunga scia: segno che era stato colpito da proiettili della fanteria cinese - abituata nella boscaglia delle montagne più alte per prendere di mira gli aerei di passaggio con il tiro della fucileria. Un proiettile doveva aver centrato il tubo dell’olio o quello del del carburante del caccia di Brown, incapace di mantenere il controllo e impossibilitato a tornare alla sua portaerei.

Dietro le linee nemiche

Dopo aver seguito la procedura per tentare un atterraggio di fortuna in sicurezza, il guardiamarina Brown portò giù a terra il suo Corsair, poggiando con le sue caratteristiche ali a w sulla neve di una radura individuata dall’aria alle coordinate comunicate approssimativamente come 40°36'N 127°06’E. Circa 24 km dietro le linee cinesi. Nonostante fosse il primo pomeriggio, la temperatura rilevata a terra era già di -9 gradi centigradi.

Dopo aver lanciato il mayday e aver richiesto l’invio di una squadra SAR (search and rescue, ndr) per il recupero di un pilota abbattuto, il gregario di Brown, tenete di vascello Thomas Hudner che lo aveva scortato e assistito nell’azione, notò che qualcosa era andato storto. L’aereo di Brown aveva probabilmente urtato qualcosa mentre slittava sulla neve. Brown, forse privo di sensi a causa dell’impatto, non aveva abbandonato l’aereo, che mostrava un muso spezzato e un principio d’incendio. Se fosse rimasto intrappolato nell’abitacolo, sarebbe senza dubbio morto. Un cenno con la mano che spuntava dall'abitacolo confermò che era era vivo ma senza dubbio impossibilito a lasciare il Corsair caduto.

L’atto d’eroismo di un fratello di guerra

Tom Hudner non se la sentiva di abbandonare il suo gregario. Ma gli ordini erano abbastanza chiari: non si poteva lasciare l’esemplare di un aereo da combattimento così innovativo in mano nemica, andava mitragliato per essere distrutto. Non si poteva danneggiare inutilmente un secondo velivolo nel tentativo di atterrare e assistere Brown, sarebbe costato le ali e lo avrebbe condotto davanti alla corte marziale. Ma gli ordini vennero infranti e il rischio di essere catturato dalle forze nemiche completamente ignorato.

Hudner tirò dietro il tettuccio, sganciò i serbatoi di carburante supplementari, e atterrò senza carrello nella stessa radura dove era planato Brown. Un simile atto d’eroismo e una simile manovra non era mai stato registrato prima e non sarebbe mai stato ripetuto dopo. Qualche istante dopo il Corsair blu notte di Hudner, marcato con il numero 205 slittava a terra con le pale delle eliche piegate e il ventre che strideva sul suolo ghiacciato. Liberatosi senza difficoltà dall’abitacolo, trovò Brown tremante incastrato nei rottami del suo aereo, probabilmente vittima di lesioni interne che già inibivano completa lucidità, ma contento di vedere la faccia "bianca" di un fratello in armi che aveva tentato quella folle manovra per salvarlo.

Ogni tentativo di tirare fuori Brown dall’aereo, compresa la parziale amputazione della gamba che era rimasta incastrata nell’abitacolo divelto nell’impatto con il suolo, si rivelò fallimentare. L’elicottero di soccorso arrivato sul posto, dopo ulteriori tentativi di recupero, sarà costretto a tornare alla portaerei solo con Hudner, che promettendo al compagno di tornare a prenderlo, ascolterà le ultime parole rivolte alla moglie: "Dì solo a Daisy quanto la amo”. E questa non è Hollywood, è la semplice straziante verità.

L'epilogo di questa storia è stato annunciato al principio, si ritiene che Jesse L. Brown sia morto poco dopo per le ferite riportate e l'esposizione al freddo di quelle che venne ricordato come uno degli inverni più rigidi mai registrati in Corea. Il tenente Hudner implorò i superiori di poter tornare sul posto per un secondo tentativo di recupero, ma le probabilità che Brown fosse ancora vivo messe a confronto che l'alta probabilità di un'imboscata che avrebbe messo a rischio la missione, decretarono il bombardamento dell'area per distruggere i due Corsair abbandonati dietro le linee nemiche. Il 7 dicembre una formazione composta da sette velivoli pilotati dai compagni di squadriglia di Brown e Hudner si recherà sulle coordinate segnate, reciterà una breve preghiera, e sgancerà il Napalm sull'obiettivo amico.

Il tenente di vascello Hudner, invece di finire di fronte alla corte marziale, verrà elogiato dai vertici della Marina per il coraggio dimostrato e lo spirito di fratellanza che l'aveva motivato. Il presidente Harry Truman gli conferirà la Medaglia d'onore del Congresso, la più alta onorificenza militare negli Stati Uniti, e insignirà Brown della Distinguished Flying Cross, dell'Air Medal e del Purple Heart. Il suo corpo, rimasto tra le montagne oltre il 38° parallelo, non verrà mai recuperato. Nel 1973 una fregata classe Knox venne intitolata a Brown.

Una promessa da mantenere

Nell'estate del 2013 Tom Hudner, ormai 89enne, decise di tentare l'ultima possibilità per onorare la promessa fatta al suo gregario quel freddo 4 dicembre del 1950: tornare indietro a prenderlo. Contro ogni consiglio, si recherà in Corea del Nord per prendere contatto con un alto ufficiale dell'Esercito popolare nordcoreano con l'obiettivo di lanciare una missione di ricerca dei resti di Brown nelle desolate montagne che fecero da sfondo a questa eroica vicenda.

Secondo le testimonianze, il colonnello nordcoreano contemplò il vecchio nemico in silenzio, prima di leggere una comunicazione del leader supremo Kim Jong-un, che era rimasto "impressionato" dal gesto di Hudner, che a quell'età aveva affrontato un così lungo viaggio solo per "mantenere una promessa fatta a un amico".

La risposta ufficiale del governo di Pyongyag, fu "l'approvazione a riprendere la ricerca dei resti dei militari statunitensi" caduti in azione, a cominciare da quelle del pilota della Marina Jesse LeRoy Brown. Le successive tensioni tra i due Paesi inficiarono il successo di questa iniziativa amichevole. Thomas Jerome Hudner è morto il 13 novembre del 2017, all'età di 93 anni. È seppellito nel cimitero militare di Arlington.

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