Un salto "senza paracadute" per sopravvivere alla guerra

La strana storia di un aviatore inglese che sopravvisse alla caduta dopo essersi lanciato da un bombardiere in fiamme. Per i tedeschi era una spia, per la storia in uomo fortunato

Un salto "senza paracadute" per sopravvivere alla guerra

Chi non crede nella fortuna dovrebbe leggere questa storia di guerra più o meno nota. Risale a una notte di quasi ottanta anni fa, e inizia nei cieli nella Germania come tante altre storie di guerra e di aerei della Seconda guerra mondiale. Nel freddo marzo del 1944, un bombardiere Avro Lancaster della Royal Air Force decollato dalla base di Witchford, nel Cambridgeshire, doveva sganciare il suo carico esplosivo su Berlino, e dopo avere svolto la sua missione era sulla via del ritorno, quando forti venti provenienti da nord lo portano fuori rotta insieme al resto della formazione. Le correnti spingono l'intero gruppo proprio sul bacino industriale della Ruhr, settore fortemente difeso dalla contraerea, in virtù della sua importanza strategica.

Il Lancaster della nostra storia, il bombardiere quadrimotore più impiegato dagli inglesi nel conflitto, con un equipaggio di sette uomini e un letale carico che variava tra i cinque e i seimila chili di bombe, apparteneva al No 115° Squadron, e venne colpito a più riprese dalla FlaK, prima di ricevere il colpo di grazia da "cacciatore notturno" nemico, un Junker Ju-88 che lo colpì nella sezione di dritta facendo scoppiare un incendio inestirpabile a bordo. Nella sezione anteriore dell'aereo, dove si concentra il grosso dell'equipaggio di un bombardiere, si contano dei morti, e prima di perdere il controllo, il comandante, nonché pilota, l'ordina di lanciarsi con i paracadute.

È in quel momento che l'aviere scelto Nicholas Alkemade, mitragliere di coda del bombardiere che per sua sfortuna il paracadute "non può indossarlo", data l'angusta cabina in perspex e metallo nella quale deve stiparsi in completa solitudine all'inizio di ogni missione, e dalla quale non è riuscito a "respingere" l'assalto del Junker nemico, capisce che la sua vita aveva raggiunto il capolinea.

Alkemade, 22 anni, di Norfolk, soprannominato "Werewolf" dai compagni di squadriglia per via dei suoi baffetti da sparviero, può essere annoverato tra gli uomini più fortunati dell'intero conflitto. Perché dopo aver ricevuto l'ordine in cuffia, e aver appurato che il suo paracadute, che era stipato in un piccolo compartimento d'anticamera alla torretta di coda, era stato raggiunto dalle fiamme, decise di lanciarsi nel vuoto da un'altitudine di "18.000 piedi" - più di 5 chilometri - pur di non morire bruciato mentre il bombardiere proseguiva la sua inesorabile discesa verso lo schianto.

La scelta disperata di un inglese volante

In guerra, in aria, ci sono pochi modi per morire: uccisi da una raffica, uccisi dalle fiamme, uccisi mentre ci si lancia da un aereo. Scartata la prima per sua sfortuna, e scartata la seconda per terrore, Alkemade di Norfolk scelse la terza. E poco male se la scelta fosse consapevole. Si pensa spesso che chi cade nel vuoto abbia il tempo di vedere la propria vita scorrergli davanti, nel breve lasso di tempo che in un caso come questo sarebbe durato una manciata di minuti. Prima di trovare, assieme alla terra, l'Onnipotente.

La sua tuta da pilota Irvin in pesante pelle di montone bordata di pelo, i guanti, le mani erano già impregnati di combustibile, e stavano per andare a fuoco come tutto il resto. E anche se l'adrenalina che schizza alle stelle non gli faceva provare alcun dolore per le ustioni che piano piano si espandevano su più parti del corpo, il giovanotto non ci pensò due volte: girò la torretta e senza staccare nemmeno il cavo delle cuffie e il respiratore, si lanciò nel vuoto, nel buio, tra le braccia della morte. Sperando di arrivare in fretta, in una manciata di minuti, dove lo attendeva la terra. Poi, il silenzio.

Ebbene il silenzio c'è stato, con un distante eco di motori e scoppi che svanivano più in alto. E la terra anche. Raggiunta viaggiando nel vuoto a una velocità di almeno 120 km/h. Solo che sarà lui a raccontarlo a tutti. Perché Nicholas Alkemade, svenuto nel volo verso la morte per esaltazione e la paura, si risvegliò a terra vivo. Con un ginocchio dolorante e nulla che una settimana d'ospedale non fosse sufficiente a rimettere in sesto. Neanche fosse caduto da cavallo. Un miracolo? Affatto. Solo fortuna.

Un uomo fortunato nelle mani della Gestapo

L'aviatore era caduto su un mucchio di neve fresca. Alto almeno qualche metro più di un metro. Sopra di lui, un manto di stelle di una notte gelida e di nuovo calma. Pare si sia acceso una sigaretta e sia rimasto a contemplare la singolarità di quel salto verso, come chiamarla? Forse il termine giusto è "salvezza". Notò che pochi metri da lui c'era un bosco di pini a fare ombra alla neve non sciolta, e tutto intorno, terra bagnata di brina come tanta ne avremo vista in montagna, quando la neve si scioglie al sole.

Verrà soccorso da alcuni civili tedeschi che lo troveranno lì ancora sdraiato. Livido, dolorante e bruciacchiato. Passerà poi nelle mani della Gestapo, e viene qui l'assurdo ancora più assurdo della storia. Trovandolo senza paracadute, la temibile polizia segreta nazista lo considera fin dal primo momento una spia sbarcata in qualche altro modo "dietro le linee" tedesche. Sarà lui a dover spiegare di non essere una spia ma solo una strana e singolare specie di "inglese volante". Nulla che meriti un plotone d'esecuzione o l'avvio al doppiogioco. Solo il campo di prigionia dove diventerà una leggenda.

La leggenda dell'aviatore inglese che invece di morire bruciato su un bombardiere in fiamme, era sopravvissuto alla guerra, si sarebbe sposato, avrebbe avuto due figli, e si spense nell'anno in cui è nato chi scrive, il 1987.

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