Little Boy, siluri giapponesi e squali: la tragica sorte dell'Uss Indianapolis

Nell'estate del 1945 un incrociatore pesante della Marina americana scelto per una "missione top-secret" venne affondato da un sommergibile giapponese. Ciò che avvenne dopo è forse uno dei più grandi incubi di chiunque vada per mare

Little Boy, siluri giapponesi e squali: la tragica sorte dell'Uss Indianapolis

Quando la Uss Indianapolis fu silurata da un sommergibile giapponese a un passo dalla fine della Seconda guerra mondiale, quasi mille tra marinai e ufficiali non ebbero altra scelta che indossare il salvagente di gomma grigioverde e tuffarsi in mare per raggiungere a nuoto le zattere di salvataggio lanciate alla luce delle fiamme che avvolgevano il vascello d’acciaio mimetizzato. Si tuffarono a dozzine, in fretta, senza poter troppo pensare, fino all’ultimo uomo rimasto in vita o in modo di raggiungere il ponte di coperta. Appena qualche istante prima che il relitto squarciato in due dalla salva di siluri che l’avevano raggiunti con silenziosa precisione li trascinasse nelle profondità abissali del Pacifico.

La "bomba"

Forse ricorderete uno dei migliori personaggi di Spielberg in uno dei migliori film di Spielberg, il pescatore Quint che a bordo dell’Orca, in vena di confessioni, iniziava un racconto tragico e straziante dicendo laconico: "Eravamo in missione segreta.. avevamo consegnato la bomba". Ebbene il personaggio il personaggio interpretato da Robert Shaw ne Lo Squalo si riferiva proprio a quella bomba. O meglio, le componenti essenziali della bomba atomica Little Boy che venne sganciata il 6 agosto 1945 su Hiroshima e che prima trasferita dall'America continentale dove era stata assemblata, a Tinian via Saipan, per poi essere consegnata a una squadriglia di bombardieri B-29 basati sull'Isola di Guam.

Considerato uno dei più veloci incrociatori pesanti della Marina degli Stati Uniti, l'Uss Indianapolis, che era scampato per un puro colpo di fortuna all’attacco di Pearl Harbor, venne scelto per trasportare nella massima segretezza il meccanismo di innesco della bomba e l’uranio 235 che l’armava. Il tutto era stato stipato in un contenitore foderato di piombo alloggiato nella cabina riservata all’ammiraglio: come previsto nei dettagli classifica dell’Operazione Bronx Shipment, una missione top-secret di cui pochi erano al corrente.

Nel completo silenzio radio l’Uss Indianapolis consegnò il cassa a Tinian e salpò nuovamente seguendo gli ordini che prevedevano di fare rotta su Leyte nelle Filippine, dove si sarebbe riunita al resto della sua flotta. A ridosso della mezzanotte del 29 luglio 1945, appena poche settimane prima della resa incondizionata dell'Impero Giapponese, l’Indianapolis incrociò la rotta dell'I-58, un sommergibile modificato per trasportare siluri suicidi Kaiten che andava a caccia di naviglio nemico. Il comandante, Mochitsura Hashimoto, avvistò la nave da guerra americana priva di scorta e lanciò da circa 1.500 metri di distanza una salva di 6 siluri convenzionali a intervalli di due secondi ciascuno.

Tre di questi andarono a segno - la nave non stava "zigzagando" per rendersi un bersaglio più difficile - causando l’immediata interruzione dell’energia elettrica e l’allegamento di numerosi scompartimento e un incendio indomabile. Risalito a quota periscopio, Hashimoto osservò la nave americana che si inabissava nelle prime ora della notte del 30 luglio. Segnalato l'affondamento di un incrociatore, non comunicò informazioni sui superstiti ai quali non avrebbe comunque dato quartiere. Fu allora iniziò il vero incubo per i marinai dell’Indianapolis.

Gli squali

C'è una ragione precisa per cui Jacques Cousteau, il famoso ocenanofrago, ha definito lo squalo longimano come "il più pericoloso di tutti gli squali". E quella ragione va cercate nel destino dei marinai della Uss Indianapolis che rimasero per quattro giorni alla mercé degli squali in mare che il comandante McVay definì vitreo nei suoi resoconti. Alla deriva in una chiazza di olio combustibile che li aveva impregnati fino agli occhi, i superstiti dell’Uss Indianapolis erano rimasti abbandonati a loro stessi senza aver avuto il tempo di verificare se il loro messaggio di soccorso e le coordinate dell’affondamento fossero state ricevute da qualcuno. Solo un’inchiesta condotta in seguito fornirà la risposta.

Senza cibo e senza acqua, i sopravvissuti sottoposti ai continui attacchi degli squali attirati dal sangue dei marinai feriti, passarono quattro giorni di terrore e privazioni. Riunendosi in gruppi per cercare di difendersi dagli attacchi, per sapendo che la difesa era vana, e che in ogni momento loro, o il compagno accanto a loro poteva essere il prossimo.

Solo il 2 agosto, tre giorni dopo, un Ventura PV-1 e idroricognitore PBY-5A Catalina, entrambi in normale missione di pattugliamento avvistarono la chiazza d’olio e notarono i sopravvissuti. Il tenente comandante Robert A. Marks, primo ad arrivare sul posto con un il suo idroricognitore, decise di ignorare gli ordini permanenti che proibivano l’atterraggio in mare e trasse in salvo i primi 56 superstiti arrivando a “legare alcuni uomini all’ala con il cavo del paracadute” per mancanza di spazio a bordo. Gli altri 260 verranno salvati in seguito per un totale di 316 superstiti su quasi 900. La maggior parte di loro aveva sofferto gli effetti della disidratazione e il grave stress a cui li aveva sottoposti l'isolamento e il terrore di essere mangiati dagli squali come molti dei loro compagni che avevano visto morire.

Le rivelazioni

Le rivelazioni del tenente Wilbur C. Gwinn, il pilota del aeropattugliatore Ventura PV-1 ricordò in seguito come nessuno fosse al corrente della "scomparsa dell'Uss Indianapolis". L’Inchiesta condotta dalla Marina degli Stati Uniti accerterà che il messaggio di soccorso lanciato dall'Indianapolis venne inviato correttamente e ricevuto tre stazioni radio che lo ignorarono per motivazioni diverse. Nessuna di queste valide. Due stazioni "ignorarono deliberatamente" il messaggio perché gli ufficiali in comando erano indisposti. Una perché considerò il segnale falso: un messaggio inviato dai giapponesi per tendere una trappola ai soccorritori. Ancora più inquietante il fatto che nessuno alla base navale di Leyte nelle Filippine si fosse accorto che l'Uss Indianapolis, attesa il 31 luglio, non fosse mai giunta.

Negli anni '90 un'ulteriore rivelazione ottenuta dalla declassificazione di alcuni documenti dimostrò come il servizio informazioni della Marina Statunitense fosse al corrente della presenza di sottomarino giapponese del settore dell'Indianapolis attraverso la decifrazione dei messaggi radio giapponesi consentiti dal sistema Ultra. Non assegnare una scorta all'Uss Indianapolis fu sottovalutare una minaccia che si dimostrò essere concreta. Accusato di negligenza dalla corte marziale e riabilitato solo in seguito per sforzo dell'Ammiraglio Nimitz, il comandante dell'Uss Indianapolis, capitano di vascello Charles B.

McVay, si suiciderà nel 1968 non sostenendo il peso della accuse mosse nei suoi confronti dalle famiglie dei marinai caduti in quei quattro terribili giorni di guerra con il nemico e con la natura. L'epilogo straziante di una storia tragica.

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