Su immigrati e lavoro ora la sinistra si scopre di destra

Storia di qualche tempo fa. Una «giovane» trentacinquenne abbonata al Pd si lamentava che sotto casa sua, a Roma, in un quartiere piuttosto centrale, la sera dopo le otto si davano appuntamento gruppi di giovani filippini. Il suo problema era che usavano la piazza come discoteca. Non solo il rumore, ma ogni volta che passava di là affrettava il passo con i battiti del cuore in apnea. Paura. La ragazza ottimista e di sinistra si chiedeva come farli sloggiare da lì. L’idea, tuttora, appare parecchio esagerata. Non siamo in coprifuoco. Se uno non diventa molesto o non combina qualcosa di brutto ha diritto alla piazza. Dove sta il problema? La pieddina rispose: mi guardano in modo strano. «Scusa, ma non sei tu quella che va in piazza in nome degli immigrati?». Risposta indignata: «Ma che c’entra. Io difendo un principio, ma serve anche il buon senso. I quartieri non possono diventare feudi di ubriachi con la radio a palla». Questa dissociazione è uno dei grandi problemi della sinistra: quello che dice in piazza non vale in privato. Qualche volta, come in questo racconto, la reazione è a pelle, viscerale. Fastidio. È lo stesso principio per cui quando sentono la parola Berlusconi gli viene l’orticaria. Impossibile dialogare. In altre occasione vince semplicemente il buon senso. E a quel punto si fanno paladini di idee che in pubblico definirebbero di destra.
Segnali. La Caritas veneta non ha paura di parlare di «guerra tra poveri». Che succede se con il nuovo decreto sui flussi arrivano centomila stranieri? Il timore del direttore don Dino Pistolato è questo: «Si apre un conflitto etnico e umano. Poveri immigrati contro poveri italiani. Padri separati, famiglie ex classe media, precari e sottoccupati, tutta gente che non riesce a pagare l’affitto o la rata del mutuo. Gli stranieri rappresentano già il 10 per cento della popolazione, ma ora non ci sono più condizioni per altri arrivi. La industrie chiedono nuova forza lavoro? Non mi risulta». La Caritas non è la sola. Qualche tempo fa la Cgil di Treviso fece più o meno lo stesso discorso. La crisi economica pesa, forse bisogna rivedere le quote d’ingresso. «Ci sono troppi immigrati in lista di mobilità. Tra sei mesi rischieranno l’espulsione». Il segretario della Cgil trevigiana disse: «Un discorso leghista? Se il Carroccio è d’accordo con me ben venga, significa che si sono convertiti alla linea della Cgil». Gentilini, il sindaco sceriffo, si sentiva più o meno come Meucci quando gli comunicarono che il telefono non l’aveva inventato lui.
Va bene. Questo è il Nord Est. Non conta. Si sa che perfino Cacciari sotto la barba è un po’ leghista. Bisogna però ammettere che Michele Emiliano, sindaco di Bari, è sudista e ex dalemiano. Stanco di scansafatiche pubblici ha pubblicato sul suo profilo Facebook le foto di tre spazzini che parlano tra loro vicino ai motocarri aziendali invece di lavorare. L’avesse fatto Alemanno lo accusavano di mettere dei poveri cristi alla gogna. Emiliano questi rischi non li corre. La foto è stata inviata da un cittadino incavolato perché «nella sua strada non si spazza a sufficienza». Il sindaco di Bari fa capire che questo è solo un avvertimento: «Se qualcuno dei dipendenti Amiu si riconosce nella foto potrebbe aiutarci a capire perché chiacchierava anziché lavorare come ci aspetteremmo tutti. Un po’ di coraggio a questo punto è necessario, altrimenti dovremo chiedere ai cittadini di continuare a fare riprese e fotografie».
Spaesamento. Marchionne non si è inventato nulla. Gli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono un remake. L’originale, accusano i dipendenti, è il nuovo modello di relazioni sindacali della Coop. Il contratto nazionale di lavoro è stato seppellito senza clamori, con il silenzio della Fiom, senza chiamare in causa i diritti dell’uomo, Carletto Marx e la democrazia postmoderna. A Ferrara si leggono manifesti come questi: «La Coop vuole introdurre la “Pagellina”. Una scheda di valutazione individuale, a completa discrezione del capo negozio, che comporterà l’elargizione del salario variabile solo per alcuni. Con questa operazione si consegue un elevato risparmio economico e un controllo sul monte salari erogato». A Firenze la Coop sta pensando di creare un bad company dove far confluire i punti vendita meno redditizi. Sono diciassette negozi. O i lavoratori accettano di cambiare punto vendita, o verranno riassunti dal nuovo gruppo con contratti peggiori.


Marchionne non ha tutto questo pelo sullo stomaco. I liberali nell’Ottocento stavano a sinistra. Combattevano i padroni delle ferriere. Forse, quei padroni, erano gli antenati di quelli che oggi dicono: la Coop sei tu.

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