«Uno su mille»: storie di ebrei italiani sotto il fascismo

Torna in libreria un classico della storia dell'Olocausto scritto da Alexander Stille che rievoca la vita e la sopravvivenza di cinque famiglie dopo l'introduzione delle leggi razziali

A distanza di quasi vent'anni torna in libreria un volume che mescola storia e racconto. O meglio, un libro in cui l'uno si fonde con l'altra. «Uno su mille» (Garzanti, pp.430, euro 28), scritto e pubblicato da Alexander Stille nel '91, ritrova gli scaffali e sfida il mercato per ridar voce a un dramma, quello dello sterminio degli ebrei, ricordato da chi ne visse i disastrosi effetti sulla propria pelle e su quella dei propri cari. Figlio di Ugo Stille, ex direttore del Corriere della Sera e corrispondente da New York per il quotidiano di via Solferino, Alexander Stille, anch'egli di origini ebree, mette insieme le storie di cinque famiglie ebree durante il fascismo.
Sugli Ovazza, i Foa, i Di Veroli, i Teglio e i Pacifici vengono così tolti i veli più imbarazzanti, evidenziandone le sofferenze e i patimenti loro inferti con precisione quasi chirurgica dalla storia e dal regime visto che, quando entrarono in vigore le leggi razziali nel '38, era proprio di uno su mille la proporzione degli ebrei nella popolazione italiana. I rapporti di queste famiglie con la Chiesa, dalla cui intesa si cercò di salvare moltissime persone destinate ai campi di concentramento, le tessere politiche di chi, pur essendo un figlio di Davide, aveva aderito al Fascismo, come nel caso dei Foa che ebbero lo strano destino di avere due eredi, uno dei quali fervente antifascista mentre l'altro devoto al Duce.
Considerato un classico del genere, il libro di Stille racconta con abilità quasi romanzesca e puntualizzazione storica, quanto avvenne in quei drammatici anni. Ad accentuare il valore delle sue pagine si aggiunge la testimonianza orale di molti fra i protagonisti che, avendo avuto la fortuna di sopravvivere a quella cupa stagione, hanno avuto anche il modo di raccontare a Stille quali disgrazie dovettero affrontare per salvare se stessi e anche i propri congiunti.

«Fa paura - scrive giustamente l'autore - pensare al giorno in cui non ci saranno testimoni diretti di quel periodo tragico... Non so immaginare il giorno in cui non ci sarà più nessuno in grado di dire: "Mi dispiace, non è stato così. Io c'ero"».

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