Uno spettacolo sulla guerra

Sul palco una "ruota" e abiti di epoche diverse

Uno spettacolo sulla guerra
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Sono anni che i registi la fanno sempre più da padroni assoluti sulle scene dei teatri d'opera, facendosi spesso precedere e/o accompagnare da note di regia, proclami, interviste spesso in aperto contrasto con quanto immaginato dagli autori (compositore e librettista). Leggere comunque quanto hanno immaginato prima di uno spettacolo è molto istruttivo, per chiunque si appresti a vedere l'opera, e a maggior ragione quando si leggono riflessioni che traducono un pensiero chiaro e sostanzioso, una sorta di antidoto alle narrazioni televisive che ondeggiano fra omissis e banalità. È il caso di quanto il regista a cui è affidata la messa in scena dell'inaugurazione della Scala, Leo Muscato, ha consegnato nella sue interessanti note di regia, intitolate Nella guerra è la follia. Per prima cosa Muscato riassume molto bene in tre «quadri» i ritratti dei protagonisti, il soprano, il tenore e il baritono, rispettivamente Leonora di Vargas, Alvaro e Don Carlo.

L'idea di base dello spettacolo che si avvale delle scene di Federica Parolini, dei costumi Silvia Aymonino e delle luci di Alessandro Verazzi è quella di raccontare la vicenda attraverso epoche differenti: «Il racconto prende avvio nel Settecento e si spinge fino ai giorni nostri, senza vincolarsi rigidamente a una precisa aderenza storica». Il grande palcoscenico della Scala sarà abitato da una macchina rotante, che Muscato definisce la «ruota del destino», la quale gira in senso contrario a quello dei personaggi, «avanzando con ostinazione attraverso scenari che cambiano continuamente. Con il trascorrere del tempo, dei secoli, questi paesaggi si fanno via via più cupi, più devastati, e sempre più realistici. Anche i costumi seguono questa evoluzione.

«All'inizio, nel Settecento, appaiono come sagome stilizzate, evocazioni simboliche di un'epoca lontana. Man mano che la narrazione si avvicina ai nostri giorni acquistano una concretezza sempre maggiore, fino a diventare realistici, specchio fedele del mondo che raccontiamo».

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