Sul Partito democratico i prodiani spiazzano Fassino

A nome del premier, Parisi sfida i Ds: già in primavera devono prendere decisioni conclusive. Angius: spero in un congresso autonomo

da Roma

Dicono che l’ordine di accelerazione sia arrivato da Romano Prodi in persona. Una semplice voce, visto che il portavoce Silvio Sircana, ancora nei giorni scorsi, negava al Giornale che il premier con questi chiari di luna potesse occuparsi anche del suo fiore all’occhiello, del bebè tanto agognato, il Partito democratico. Eppure, nella strategia di rilancio che Palazzo Chigi intende promuovere con l’anno nuovo, il progetto caro al Professore si pone come una delle poche voci che potrà essere messa all’attivo, sempre che si arrivi a ottenerlo. Essendo le altre questioni - pensioni, liberalizzazioni, lotta al precariato - gatte da pelare come poche.
Dicono che per questo, con la pace dichiarata all’interno della Margherita sulla base di una mozione unitaria e l’«inevitabile» ultimo congresso di scioglimento del partito, sia sceso il gelo non soltanto tra il segretario dei Ds, Piero Fassino, e quello dei Dl, Francesco Rutelli. Ma soprattutto tra Fassino e lo stesso Prodi, stanco delle continue punture di spillo del leader della Quercia sulla «fase due» e dei pelosi «distinguo» per portare il grosso della Quercia nel «Pd». A leggere le ultime dichiarazioni di Arturo Parisi, rilasciate ieri alla Stampa, non c’è da dubitare di tali ricostruzioni, anticipate dal Giornale nei giorni scorsi. Sull’accordo che mette in braghe di tela Fassino e gli attendisti di ogni ordine e grado, il proto-ulivista Parisi taglia corto: «La Margherita ha ritrovato come prospettiva comune il disegno originario, il proprio superamento in un progetto più grande, senza condizionarlo alle scelte di altri. E affida a questo congresso, che sarà inevitabilmente l’ultimo, la decisione di concludere la propria autonoma attività di partito a partire dalla costituzione del Pd...».
Le minacce di querela, avanzate improvvidamente dal portavoce di Rutelli alla lettura di un titolo del Giornale, sono appunto carta straccia. La Margherita si scioglierà il giorno in cui sorgerà il Pd: così è scritto nella mozione unitaria, così ha dichiarato il coordinatore Soro, così il presidente Parisi. Così è, con buona pace di Rutelli e dei suoi. Ripido si fa però ora il percorso di Fassino, oltre che dei nemici occulti del progetto prodiano. E difatti Parisi non nega che «questa scelta sarà per i Ds una sollecitazione a prendere decisioni conclusive già in primavera. Lo dico senza alcuna tentazione di sfida, ma dovranno misurarsi con questa novità... La nostra scelta sta lì a ricordare che il tempo non è una categoria dello spirito». Coincidente è l’analisi del leader della sinistra ds, Cesare Salvi, che anche ieri ha ribadito come «la decisione della Margherita comporti il segno della chiarezza, e ora occorre che altrettanta chiarezza ci sia in vista del congresso dei Ds». Basta «melina», insiste Salvi nei confronti di Fassino. Delle due l’una: o si condivide il percorso dei Dl, e allora «anche quello dei Ds sarà l’ultimo congresso», oppure no, e allora «rischia di crearsi un enorme pasticcio».
Durissimo è anche Gavino Angius, terza mozione ds, che mette le mani avanti: «Il prossimo congresso dei Ds non potrà certamente essere l’ultimo, e spero che i miei colleghi non vogliano rinunciare a operare scelte in piena autonomia. In primavera non si conclude niente, ma semmai inizia un processo costituente che non può essere quello stabilito dai gruppi dirigenti...». Il nuovo partito, conclude Angius, deve «nascere dal basso, non dall’alto». L’irritazione fassiniana, che presumibilmente si tradurrà presto in una paginata di intervista, è stata affidata ieri a un esponente di secondo piano della segreteria, Marco Filippeschi. Una replica a Parisi per sostenere che i «Ds non hanno bisogno di sollecitazioni» e nascondere, dietro il solito giro di parole, il cul de sac infilato. Tanto più che Parisi, per somma ingiuria, ha indicato chiaramente come possibile leader del Pd l’unico nome spendibile (e caro a Prodi), quello di Walter Veltroni.

«Per Veltroni è certo più semplice porsi come riferimento comune per tutti, perché parte nell’immediato da un ruolo che lo alleggerisce da una connotazione di parte...», ha detto con malizia Parisi. Sicuro che il povero Piero, portatore della croce, dalla rabbia se la sia fatta crollare addosso.

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