È da qualche tempo che il centrodestra ha ritrovato una certa unità. Discussioni ce ne sono, ed è anche bene, ma non si ha più l'impressione che mettano in discussione l'esistenza stessa della coalizione.
Dalle parti del centrosinistra, soprattutto ultimamente, ogni occasione è buona per separarsi. Due in particolare: la politica internazionale e l'economia. Della politica internazionale abbiamo scritto tante volte. L'ultima è quando Bertinotti disse di Prodi che probabilmente scherzava (il Professore) a sostenere che il ritiro delle truppe dall'Irak avrebbe potuto essere graduale. Niet. Ritiro immediato se no i voti, sempre il Professore, se li va a cercare altrove.
Sull'economia le cose sono ugualmente serie: l'Economist giudicando la politica italiana in materia ha sostenuto che il centrodestra non ha fatto abbastanza e che il cammino verso un maggiore liberismo è ancora lungo. Ma ha anche detto che con il centrosinistra al governo le cose non andrebbero meglio. Non potrebbero andare, infatti, nella direzione giusta e cioè di un incremento della politiche liberalizzatrici. E questo non perché nel centrosinistra non ci sia chi pensa che quella sia la direzione giusta da seguire ma, più semplicemente, perché ci sono uomini e partiti - indispensabili al Professore - che ritengono un errore assoluto andare in quella direzione.
Non a caso, il giorno dopo che l'Economist aveva pubblicato il suo survey sull'Italia, Bertinotti, che pure degli inglesi condivide l'abbigliamento, ha risposto con picche in modo talmente deciso da non lasciare spazio ad esegesi ed ermeneutiche. Di lì con me non si va. Punto e basta. Dopo aver sostenuto che la preoccupazione di «quelli dell'Economist» era che Berlusconi non sarebbe riuscito «ad applicare certe regole neoliberiste», ha anche decretato che ora a Londra sono preoccupati, cambiando la guida del governo, «dallipotesi - è ancora il sempre più british Fausto che parla - che noi, quel liberismo tanto adorato, nemmeno proveremo ad attuarlo».
Intendiamoci, qui non si tratta di Reagan e della Thatcher, basta e avanza la Legge Biagi. Quella per la quale il professor Biagi è stato ammazzato dalle Br e che ha visto nascere, anche in Italia, finalmente, un po' più di libertà nel mercato del lavoro. Questa è la situazione. Ma se così stanno le cose perché mai gli italiani dovrebbero cambiare cavallo e schieramento per farsi governare. Non sanno queste cose? Non leggono i giornali? Non vedono la tv? Non si ricordano i cambi di cavallo in corsa del precedente governo ulivista dove si alternarono - diciamo così - quattro presidenti del Consiglio con una velocità e una disinvoltura che neanche i cavallerizzi al festival del circo di Montecarlo?
E allora adesso devono chiarire bene, ma molto bene, agli italiani che cosa vogliono fare. Poche cose, per carità. E, principalmente, devono dimostrare che magari di passi non ne hanno fatti molti ma li hanno fatti nella direzione giusta.
La verità è che le corporazioni in Italia ci sono, sono forti, salde, ben in sella e molte sarebbero ben contente di un cambio della guardia, sindacato in testa.
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