C lark Kent allAmerica ci crede ancora, magari come un vecchio nostalgico degli anni 50, quando aveva ventanni e pensava che il futuro fosse una strada ferrata. Il mite giornalista del Daily Planet, integrato, introverso, elegante come un principe di Galles, un po nerd, non è mai stato della razza ribelle dei Marlon Brando, niente fronte del porto. Superman no, lui certe certezze le ha perse da tempo. LAmerica non è un sogno e neppure una patria. Questo lo sapeva già dal 72, quando tutte le nazioni dellOnu gli regalarono la cittadinanza onoraria. Si sente, insomma, cittadino del mondo, o forse apolide, un senza patria. Non bisogna stupirsi, lindistruttibile eroe di Krypton, il signor Kal-El (come era conosciuto nel suo multiverso), ha sempre subito linfluenza dello spirito del tempo. Se Clark è un conservatore, Superman è un liberal moderato. Non ripudia gli States, ma vuole tirarsi fuori dal peso dellimpero. Come lAmerica di questi anni anche lui è riluttante. Non è il primo. Già Captain America in Civil War si ribellò al tradimento americano dei dieci emendamenti. Lossessione per la sicurezza non fa bene alla libertà.
La notizia, comunque, è che Superman ha rinunciato alla cittadinanza americana. Lo ha fatto nel numero 900, Lincidente, di una storia cominciata nel 1938, quando Jeremy Siegel lo presentò così: «Più veloce di un proiettile! Più potente di una locomotiva! Capace di scavalcare i grattacieli con un balzo! Guardate, su in cielo! È un uccello! È un aereo! No, è Superman!». A quel tempo Superman era la forza dellAmerica, non ancora in guerra, ma già pronta a sfidare il secolo dei totalitarismi. Quello di adesso non si sente più il garante dei destini delluniverso. È un Dio fragile, che crede solo in se stesso, senza bandiera, che non ha alcuna intenzione di andare a risolvere le questioni degli altri nel nome della libertà. Superman non è più una nazione. È un individuo. È così che lo ritroviamo in Iran, dove arriva a piedi, come un qualsiasi essere umano, senza sfrecciare nel cosmo più veloce della luce. Sta lì in mezzo a un corteo di dissidenti iraniani, che marciano contro il regime. Uno fra tanti. Un individuo tra tanti individui. E questa volta è lIran, ma potrebbe essere la Tunisia, lEgitto o la Siria o la Libia. Quando il governo di Teheran sputa in faccia a Obama che Washington sobilla la controrivoluzione blasfema e occidentale, Superman risponde alzando le braccia e con una rabbia che sa di resa: «Sono stanco di vedere le mie missioni interpretate come uno strumento della politica americana. Domani parlerò alle Nazioni Unite e rinuncerò alla cittadinanza americana». La risposta in questo universo arriva dai lettori: «Se Superman non crede più nellAmerica non crede più in nulla». Ma questuomo è poi davvero americano? È di un altro pianeta. È di Krypton. Insomma, un clandestino.
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