La rabbia, lo strazio e l'orrore per i morti di Londra non devono farci dimenticare che gli europei hanno fin qui sottovalutato la portata del terrorismo internazionale islamista. Dopo l'11 settembre, e pure dopo l'11 marzo, è mancata in Europa quella reazione dura e concorde all'attacco terroristico che gli americani hanno così vigorosamente manifestato all'indomani delle stragi di New York e Washington. Loro, gli americani, dichiaravano la «guerra al terrorismo» da condurre con metodi diversi a casa loro e nei diversi scacchieri internazionali compresi l'Afghanistan e l'Irak. Noi, europei, prendendoci gioco delle insicurezze americane, agitavamo le bandiere cosiddette «pacifiste» nell'illusione di metterci al riparo dai nichilisti islamisti.
A Londra è tragicamente suonata la sveglia per la realtà del nostro tempo. Ancora una volta la rete terroristica - poco importa se alqaidista o altro - si è manifestata per quel che è, per ciò che vuole, e per come agisce. È un terrorismo ideologico e transnazionale, con grandi capacità organizzative e finanziarie, senza limiti di tempo e di spazio, capace di inviare nei momenti cruciali enormi messaggi di morte. Anche se ovvio, è bene ripetere che il suo unico obiettivo è il terrore. Vuole la distruzione dell'Occidente non solo nelle persone fisiche, ma anche nel sistema di vita. Per questo gli occidentali sono stati costretti a bilanciare le libertà con la sicurezza. E ieri sono state colpite le borse di un'economia europea già declinante dall'11 settembre. Questo è il terrore nichilista che si fonda sul suicidio di massa e diviene assoluto e antiumano.
L'Europa, intesa come comunità di centinaia di milioni di popoli, diversamente dagli Stati Uniti, non ha fatto abbastanza contro il terrorismo. Noi europei, certo legittimamente, discutiamo e critichiamo la strategia degli americani che si sono affidati anche, ma non solo, all'intervento armato. Ma non abbiamo il diritto di prenderci gioco di quella mobilitazione delle coscienze che si è realizzata dietro George W. Bush con l'obiettivo di condurre la «quarta guerra mondiale» contro il totalitarismo islamista. Ancora una volta, pure se con effetti alterni, gli Stati Uniti sono rimasti quasi soli in prima linea contro i nemici della libertà, ieri il nazismo e il comunismo, oggi il nichilismo islamista.
In Europa ci siamo troppo crogiolati nella nostra pace condita da tanto benessere, sperando invano di potere tenere lontani i demoni terroristi con la remissività e la condiscendenza. Certo l'Inghilterra e l'Italia hanno dimostrato maggiore sensibilità e consapevolezza nel fare fronte comune con gli Stati Uniti a beneficio del mondo civilizzato. Ma l'influenza neutralista o antiamericana di Germania e Francia non solo è arrivata sulle nostre piazze ma ha finito per impedire che l'Unione Europea si muovesse con una comune strategia antiterroristica che non poteva ieri, e non potrà domani, che essere complementare con quella americana, se vuole avere efficacia.
Fare la guerra al terrorismo non significa partire arma in resta con carri armati e missili. Questa è la caricatura che piace ai pacifisti che non hanno mai manifestato per condannare il terrorismo. La guerra antiterroristica è qualcosa di molto più simile alla Guerra fredda combattuta per quarant'anni dai difensori della libertà contro i sostenitori del comunismo con l'uso di una pluralità di strumenti e metodi. Al primo posto dovrebbe essere posta, insieme alla sicurezza interna, l'offensiva politica e diplomatica a sostegno degli islamici non fondamentalisti. Poi dovrebbe essere rafforzato l'intervento coordinato dell'intelligence sull'intero sistema internazionale. Quindi dovrebbe essere esercitata un'azione repressiva mirata all'interno delle nostre società occidentali. Infine si dovrebbe fare più affidamento sull'arma dell'informazione, della propaganda e dell'educazione, la più temuta dal fondamentalismo islamista perché portatrice di modernità.
Si legge che l'Italia è nel mirino dei terroristi. Sarebbe illusorio pensare di potere affrontare e vincere una sfida così dura se, dopo Londra, non si tenessero ferme alcune linee strategiche. Che non bisogna avere complessi nell'uso della forza quando, esperiti tutti gli altri tentativi, si rendesse necessario.
m.teodori@agora.it
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