La svolta di Obama sul Medio Oriente (con qualche ipocrisia)

I media salutano la svolta epocale del presidente americano sul Medio oriente. Ma è davvero così? Solo in parte. Nel discorso di Obama alcune importanti (e non casuali) dimenticanze

La svolta di Obama 
sul Medio Oriente 
(con qualche ipocrisia)

Barack Obama sa pronunciare bene i discorsi, soprattutto quando può toccare le corde della speranza e del cambiamento. Il punto più forte di quello pronunciato ieri riguarda la questione israelo-palestinese. Il presidente americano ha proposto di tornare ai confini del '67 e subito sia Netanyahu che Hamas hanno alzato le barricate. Tuttavia, il gesto resta importante, non tanto per le sue possibilità di applicazione, quanto per il segnale di rottura rispetto all'immobilismo, nel quale si era arroccata Washington nell'ultimo decennio. L'impressione è che l'America voglia tornare ad occuparsi di un tema delicato eppur cruciale. Vedremo quali saranno gli sviluppi, la storia, però, dimostra che solo quando gli Stati Uniti hanno esercitato la loro influenza, palestinesi e israeliani sono progrediti verso la pace. Fu così con Reagan, quando riconobbe l'Olp e poi con Bush sr e, soprattutto, con Bill Clinton. Il prossimo sarà Obama? Riguardo gli altri punti del discorso, però, la perplessità è d'obbligo. Come può definire dittatori e tiranni Mubarak e Ben Ali? Erano, invece, leader autoritari che l'America ha protetto e di cui era solidamente alleata fino allo scorso dicembre. Obama dove pronunciò il suo storico discorso sull'Islam, poco dopo la sua elezione? Al Cairo, come sappiamo. Ma se all'epoca l'Egitto era davvero una spietata dittatura, perchè il presidente americano lo scelse senza mostrare allora alcun disagio per la terribile repressione di Mubarak? L' ipocrisia è evidente quanto superflua.

Anche il discorso sulla Siria e sul Bahrein appare poco lineare. I giornali scrivono che Obama ha lanciato un ultimatum ad Assad di questo tono: guidi il cambiamento o lasci. Sappiamo benissimo, purtroppo, quanto sia feroce la repressione in Siria nelle utlime settimane. Se l'America vuole davvero sostenere il vento della democrazia e della libertà deve cogliere l'attimo ovvero muoversi adesso. Invece, si limita a dire ad Assad: rinuncia a buona parte dei tuoi poteri o lascia. Ma senza precisare a cosa può andare incontro Assad qualora non ottemperi. L'impressione è che in realtà l'America non sappia come gestire la questione siriana e non abbia alcuna intenzione di spingersi oltre la retorica; questo non potrà che rassicurare Assad. Insomma, altro che ultimatum...

Sul Bahrein l'incoerenza è ancora maggiore. Washington ha lasciato che le truppe saudite entrassero nell'Emirato e soffocassero nel sangue la protesta. E ora si lamenta: cattivoni, non avete ascoltato il nostro appello in favore della democrazia. Ma dovete aprire all'opposizione. Non troppo, però, perché dietro l'opposizione c'è l'Iran. Insomma, à Washington privilegia la stabilità strategica dell'emirato rispetto alle ambizioni politiche della sua gente. Come dire: il vento della libertà non sia troppo impetuoso, una brezza serale è più che sufficiente... In certi Paese, invece, è bene che non soffi nemmeno la brezza. Quali? L'Arabia Saudita e la Giordania, che Obama non ha nemmeno citato, nonostante il primo sia ai primi posti delle classifiche sulla repressione dei diritti civili, e il secondo sia agitato da segnali di ribellione popolare .

Un silenzio per nulla sorprendente, considerando l'importanza dei giacimenti petroflieri sauditi e il ruolo cruciale di Amman nella regione, che però finisce per

inficiare tutto il discorso. Incongruenze da Real Politik, dirà qualcuno. Certo,.ma così Obama finisce per essere meno credibile e dirompente di quanto lascino intendere certi titoli di giornale. Coraggiosos, ma solo a metà.

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