Taglio delle Province, la retromarcia di Monti: "A scadenza naturale"

Dopo lo stop sulle indennità parlamentari, la minaccia di ricorso alla Consulta spaventa il governo che rivede loa norma. Le Province non decadranno nel 2013, ma a scedenza naturale

Taglio delle Province, la retromarcia di Monti: "A scadenza naturale"

E' bastata la minaccia di un colossale ricorso alla Corte costituzionale a far cambiare la norma sull'abolizione delle Province. Con un sub-emendamento alla manovra approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera è stato, infatti, stabilisce che gli organi in carica decadranno a scadenza naturale e non più entro il 31 marzo 2013 come prevedeva una proposta del governo. Insomma, non ci sarà quindi nessun anticipo della scadenza. Non solo. Gli organi provinciali in scadenza l'anno prossimo non andranno più al voto ma verranno nominati dei commissari ad acta fino alla messa a punto della riforma.

Settimana scorsa la levata di scudi dei parlamentari contro il taglio degli indennità, oggi le barricate dei presidenti di Provincia che, dopo aver lanciato un appello al capo dello Stato, hanno minacciato di fare ricorso alla Consulta. La polemica era montata già nel pomeriggio non appena era trapelato il contenuto dell'emendamento del governo. L’emendamento del governo fissava al 31 dicembre 2012 l’emanazione di una legge per trasformare le Province in enti di secondo livello. Lo scioglimento definitivo di tutti i consigli provinciali (ad esclusione delle province autonome di Trento e Bolzano) sarebbe, quindi, dovuto avvenire il 31 marzo del 2013. L'esecutivo aveva, poi, pensato a una norma transitoria per le province in scadenza la prossima primavera: in attesa della legge attuativa sarebbero state commissariate. 

Il primo a muoversi era stato il leghista Roberto Cota. La Giunta regionale del Piemonte aveva, subito, minacciato ricorso alla Corte costituzionale contro l’articolo 23 della manovra: "E' incostituzionale e viola le competenze delle Regioni". Il malcontento era generalizzato. A molti non piaceva l'azzeramento delle Province. L'Unione delle Province italiane (Upi) si era appellata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, affinché chiedesse lo stralcio della norma: "Una legge che cancella enti democraticamente eletti c’è stata solo in epoca fascista". Non solo. L'Upi aveva anche minacciato di interrompere i rapporti con il governo nelle sedi di concertazione fino all’insediamento della commissione paritetica per le riforme. Tutte le Province erano già pronte a impugnare la norma avviando, attraverso le Regioni, il ricorso alla Corte costituzionale.

In serata la retromarcia del governo. Con i leghisti che hanno esultato: "Ha vinto la democrazia". Ad ogni modo, l'abolizione ci sarà, ma a scadenza naturale. Un po' come il taglio degli stipendi dei parlamentari: a data ancora da destinarsi.

Il ridimensionamento delle Province vale, tuttavia, 510 milioni di euro l’anno. Secondo i dati elaborati dalla Cgia di Mestre, a fronte di una spesa di poco superiore ai 13 miliardi, il recupero di risorse non andrebbe quindi oltre il 3,9% del totale.

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