Ci sono vite trasparenti nelle quali finisce per specchiarsi Narciso, altre che precipitano come ruscelli, ciottoli e salti, per aprirsi in un lago che ti guarda con occhi limpidi. Il percorso di montagna di Aimé Duval, padre Aimé Duval (1918-1984), gesuita e chansonnier, noto a partire dagli anni Cinquanta per le sue canzoni accompagnate dalla chitarra, lo ha trascinato in una tradizione nella quale entreranno Georges Brassens, Jacques Brel, Gilbert Bécaud, Charles Aznavour, Édith Piaf, Charles Trenet. Una spiritualità vissuta fino allo sprofondo fisico e spirituale rende speciale la vita di questo poeta cantautore, che con un certo provincialismo viene da paragonare a Fabrizio De Andrè per punti di tangenza poco visibili a orecchio nudo, benché padre Duval si sia spinto oltre, fino a tentare il suicidio, quasi a testimoniare che sempre è possibile un ritorno.
Arriva il successo, nel 1959 è l'ora di Seigneur, mon ami, poi oltre tremila concerti in quarantacinque Paesi del mondo, e insieme cresce la solitudine di relazioni e incomprensioni, notti di tournée solitarie trascorse in macchina con la bottiglia. Nella vita consacrata al Signore, come un'estranea maligna entra la dipendenza dall'alcol. In testi come Il bambino di notte, Perché vieni così tardi?, La speranza morta, sembra di vederne la vita annegare nell'alcol senza mai smettere di cercare la compagnia di Dio, anche negli sguardi delle anime perse, tra le vite più umili e ai margini, la quotidianità faticosa delle famiglie. Canta negli altri la vicenda della sua solitudine, che lo accompagna, amica o avversaria, da quando era bambino.
Così sono una storia in versi, da gustare all'inizio alla fine, i testi dei suoi lavori musicali, raccolti con l'originale francese a fronte e un'interessante prefazione di Claudio Zonta, nel volume «Nudo sotto il cielo limpido», edito da Àncora nella colonna L'Oblò, diretta di Antonio Spadaro. In questo caso non si teme di svelare il finale di resurrezione.
Saranno gli Alcolisti anonimi, più ancora che la Compagnia di Gesù, a salvare padre Duval. Ora canta che «più bello del cielo, più dolce del miele, l'amore abbraccia tutti. Più puro del mare, più duro del ferro, l'amore rinserra anche la terra». È come se in modo misterioso, in una trama intellegibile solo a loro, Aimé e il Signore, sia precipitato all'inferno per raccontare che sì, è vero, esiste, ma anche che finché c'è vita, si può tornare indietro.
Nel 1987 Duval scrive «Il bambino che giocava con la luna».
Parla da sommerso che si è salvato: «Fratello alcolizzato, se sei stanotte al punto in cui io fui, ridi di cuore, amico. Non sei arrivato in fondo, sei giunto al termine delle tue pene. Ridi, è la fine delle tue sofferenze. Se tu vuoi». Sopra c'è un cielo limpido.
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