Alle origini del fango, quando Italo Bocchino si spacciava ancora per berlusconiano e già passava notizie sottobanco a Dagospia sul caso Noemi. A quei tempi Fini si faceva raccontare dai pm le meraviglie del pentito Spatuzza, ma la scissione, il «che fai mi cacci», la casa di Montecarlo, Mirabello e fratture varie erano ancora un futuro remoto. Questo dimostra come i finiani volessero, poco tempo dopo la vittoria elettorale, disarcionare il Cavaliere. Altro che la favola della caserma. Non è stato Berlusconi a rompere con Fini. L’obiettivo dei finiani è sempre stato uno solo: sputtanare il capo del governo e del loro partito. E per raggiungere l’obiettivo ogni mezzo era lecito, meglio se giudiziario. Ma come tutti i congiurati ora Bocchino vede spettri ovunque. E nel suo fango rischia di sprofondare.
Povero Italo, è diventato l’uomo dei teoremi e dei complotti. Si è convinto che il solo parlare di lui nasconda una trama oscura. E così denuncia tutti, come uno di quei personaggi da romanzo che se un passante gli dice «buongiorno» sospetta chissà quale secondo fine e per non rischiare spedisce una lettera di denuncia al magistrato di turno: «Indaghi sul perché quel signore che io non rammento mi ha salutato sorridente».
Il guaio è che con la scusa dell’azione penale obbligatoria i pm lo assecondano e si mettono alla ricerca di un’altra loggia segreta.L’obiettivo è combattere la macchina del fango, il paradosso è che tutti quelli che parlano di macchina del fango finiscono per gettare fango, santo e benedetto ma sempre fango è, sul primo che passa. Andate a vedere per esempio quanto fango sta gettando in questo periodo Roberto Saviano. Bocchino nella sua battaglia è ancora più compulsivo. Tra poco denuncerà perfino se stesso. Da quando ha scoperto la parola stalking la ripete ogni tre secondi. Scrivere di Bocchino vuol dire turbare il suo equilibrio psicofisico. Ma soprattutto bisogna stare attenti a non nominare mai la moglie invano.
Quello che è capitato a Roberto D’Agostino vale per tutti. Un tempo Dago andava in vacanza con Italo e Gabriella Buontempo, la moglie (oops, stalking). Erano amici, di quelli appunto che programmano le ferie nello stesso periodo. Tanto amici che l’onorevole Bocchino,ancora pidiellino doc, racconta D’Agostino, passa a Dagospia indiscrezioni sul caso Noemi. E Dago le pubblica. Ma quando Dagospia pubblica la lettera del ministro di Santa Lucia sulla proprietà della casa di Montecarlo Bocchino non ci vede più,rinnega l’amico, lo accusa di lesa maestà e va da Santoro: «Bisognerebbe fare una puntata per sapere chi c’è dietro Dagospia».
Ecco l’ossessione del complotto.
Dago ci resta male. Telefona a Gabriella (oops, stalking) e si lamenta con lei per la bastardata di Italo. Tutto questo racconto serve solo a far vedere come il capetto del Fli viva ormai assediato e ossessionato dai suoi fantasmi. La politica per lui non è voto, consenso, progetti, cosa pubblica, maggioranza e opposizione. Non ci sono idee che si scontrano tra di loro.
È invece una guerra esistenziale: o stai con me o contro di me. Bocchino si è ammalato di manicheismo, ripudiando tra l’altro tutte le lezioni di Tatarella, il ministro della concordia, quello che cercava un punto mediano con tutti e andava a trattare anche con il diavolo se c’era bisogno. Il bello di Tatarella era il suo dialogare con tutti senza mai rinnegare se stesso. Non rinunciava alle sue idee e neppure al suo modo di essere e di vestire.
Era uno con una personalità tanto forte da vivere la tolleranza senza paura. L’altro non è mai un nemico, ma uno con cui su qualcosa, più di qualcosa, ci si può incontrare. Bocchino invece vede solo ombre. È per questo che non può permettersi la tolleranza. Nel suo universo chi la pensa diversamente è un nemico da abbattere con ogni mezzo. Senza dubbio, nella sua visione, chi non è d’accordo con il Fli nasconde qualcosa di losco. Si vive male così e non bastano i sorrisetti stampati sul volto per spacciare serenità.
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