Google ritorna in Cina. Ma collaborerà alla censura ​di Stato

Secondo le dichiarazioni di un dipendente dell'azienda, Google starebbe pianificando un ritorno in Cina attraverso un'app che si adatterà alle rigide regole di censura del paese.

Google ritorna in Cina. Ma collaborerà alla censura ​di Stato

Dopo quasi dieci anni di assenza, Google potrebbe presto tornare ad operare sul mercato cinese, a patto però di sottostare al rigido sistema di censura adottato dalla Repubblica Popolare. Secondo quanto riportato dalla testata online The Intercept, sulla base di alcuni documenti altamente riservati ricevuti da un dipendente dell'azienda, il colosso di Mountain View sta lavorando dalla primavera dello scorso anno ad una nuova versione cinese del suo celebre motore di ricerca, il quale implementerà al suo interno anche la lista nera governativa di tutti le parole e siti web sgraditi alle autorità di Pechino. Stando ai documenti in possesso del giornale; il progetto, dal nome in codice di Dragonfly (libellula), punta alla realizzazione di un'app che indentificherà e filtrerà automaticamente i dati che verranno bloccati dal cosiddetto "Great Firewall", il sistema di sorveglianza informatica che da quasi vent'anni controlla tutto quello che transita all'interno del web cinese e con il quale sono costretti a confrontarsi ogni giorno anche gli altri giganti della rete come Facebook, Instagram e Twitter. Quando un utente effettuerà una ricerca su internet, i siti web verranno dunque rimossi dalla pagina dei risultati, e sostituiti da un avviso in cui si leggerà: "Alcuni risultati potrebbero essere stati rimossi a causa dei requisiti di legge". Nel documento vengono inoltre citati alcuni esempi di siti web soggetti a censura da parte del governo cinese, tra cui quello dell'emittente britannica Bbc e dell'enciclopedia online Wikipedia.

Il dipendente che ha trafugato queste informazioni, il quale per tutelarsi ha preferito rimanere anonimo, ha inoltre affermato a The Intercept che all'interno di Google la conoscenza del progetto Dragonfly è limitata solo a qualche centinaio di persone delle oltre 88 mila che lavorano per l'azienda. L'uomo ha inoltre detto di avere forti preoccupazioni morali ed etiche riguardo al ruolo che sta assumendo Google nei confronti della pratica della censura, con decisioni in merito che vengono prese da un ristretto gruppo di manager senza alcun tipo di votazione o discussione interna, e dichiarando: "Sono contrario alle collaborazioni, tra grandi compagnie e governi nazionali, che hanno come obiettivo quello di opprimere le persone, e sento che è nell'interesse pubblico avere trasparenza su ciò che viene fatto all'interno dell'azienda" - aggiungendo - "Temo che ciò che verrà fatto in Cina servirà da modello per molte altre nazioni".

Una manovra che rappresenterebbe quindi un cambiamento radicale, e probabilmente anche drammatico, nella politica dell'azienda, la quale negli ultimi anni si era sempre battuta nel denunciare le numerose ingerenze statali che portarono nel 2010 alla morte del primo Google cinese, inaugurato nel 2006, e dichiarando, in un annuncio pubblicato in occasione della chiusura, che: "Non possono continuare a censurare i nostri risultati". Tuttavia, proprio per questa sua prima collaborazione, furono numerose al tempo le critiche nei confronti di Big G, tanto che in una seduta del Congresso statunitense nel marzo del 2006, i membri della Commissione per le relazioni internazionali della Camera dei Rappresentanti definirono Google "un funzionario del governo cinese", accusandolo di "azioni aberranti" per aver partecipato alle attività di censura. Lo stesso cofondatore di Google Sergej Brin, nato nell'ex Unione Sovietica e quindi particolarmente sensibile alla tematica della censura nei regimi repressivi, affermò che la chiusura della sezione cinese si rese necessaria per via dell'opposizione della società nei confronti delle "forze del totalitarismo", auspicando che questa decisione avrebbe potuto finalmente portare alla creazione di un internet più aperto.

Malgrado le promesse però, sembra essere in atto una vera e propria riappacificazione tra l'azienda californiana ed il regime comunista, confermata anche all'incontro avvenuto lo scorso dicembre tra l'attuale amministratore delegato Sundar Pichai e Wang Huning, consulente politico del presidente Xi Jinping, successivamente al quale i progressi nello sviluppo del nuovo motore di ricerca hanno subito un'importante accelerazione. Le squadre di programmatori e ingegneri informatici di Google hanno infatti già approntato alcuni prototipi della futura app mobile, denominati "Maotai" e "Longfei", in vista della presentazione della versione definitiva, che secondo indiscrezioni potrebbe arrivare sul mercato entro i prossimi sei o nove mesi. A quel punto il software avrebbe davanti a se solo due potenziali ostacoli: l'eventuale approvazione delle autorità governative e la garanzia che la nuova applicazione fornisca un servizio oggettivamente migliore del suo diretto concorrente sul suolo cinese, il motore di ricerca Baidu.

Tra le cause che molti osservatori credono siano alla base di questo riavvicinamento c'è sicuramente quello dell'enorme bacino di utenti rappresentato dal mercato cinese, oltre 750 milioni di persone dotate di connessione ad internet, un flusso di entrate potenzialmente enorme per il quale a quanto sembra non c'è etica aziendale che tenga. La specifica scelta di sviluppare un'app mobile basata sul sistema operativo android, di proprietà di Google, è stata inoltre adottata per poter andare incontro alla particolari caratteristiche degli utenti cinesi. Oltre il 95 per cento di essi infatti utilizza esclusivamente dispositivi mobili, come gli smartphone, per accedere ad internet, e di questi l'80 per cento lo fa attraverso un sistema operativo android.

Ulteriori motivazioni vanno infine ricercate nel recente cambio di leadership ai vertici della compagnia.

Il graduale congedo dei fondatori Larry Page e Sergej Brin, i quali preferendo ritagliarsi dei ruoli più defilati hanno avuto negli ultimi anni sempre meno peso decisionale, è stato infatti accompagnato dalla contemporanea nomina a Ceo nel 2015 del 46enne Pichai, americano di origini indiane che già nel giugno del 2016, in una conferenza tenuta durante il festival Code Conference, dichiarò: "Quello che mi interessa è aiutare gli utenti a livello globale in ogni angolo del mondo. Google è per tutti" - aggiungendo profeticamente - "Vogliamo essere in Cina al servizio degli utenti cinesi".

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