Non hai nulla da nascondere? Ecco perché la privacy resta importante

È dalla privacy che discendono altri diritti umani

Non hai nulla da nascondere? Ecco perché la privacy resta importante

Quello della privacy è un argomento che coinvolge un numero di persone in costante aumento tra avvocati, sociologi, filosofi e tecnici informatici. Questo vuole dire che non è più soltanto argomento legale o tecnologico ma è trasversale, così come lo sono gli ambiti di competenza di qualsiasi diritto umano.

La privacy non ha più niente a che vedere con il canonico “non ho niente da nascondere” e diventa sempre più espressione di sé, a prescindere da ciò che si vuole o non si vuole fare sapere di sé.

La privacy è un diritto

Così come chi è sano deve sapere che esiste il diritto a ricevere delle cure, chi “non ha niente da nascondere” deve sapere che esiste un diritto alla privacy. Se si volesse affrontare l’argomento soltanto dal punto di vista legale, sarebbe sufficiente richiamare le tante leggi come, per esempio, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr, ossia il regolamento Ue 2016/679) con il quale la Commissione europea ha voluto rafforzare i diritti in materia di privacy e del trattamento dei dati di chi risiede in Europa. Ma il punto è persino embrionale rispetto alle leggi e ai regolamenti: la privacy riguarda la nostra persona, ciò che pensiamo e cosa facciamo e, da questo punto di vista, poco importa se siamo tanto ligi da non dovere nascondere qualcosa perché il riserbo è capostipite di tanti altri diritti ed è una sfera con la quale proteggiamo noi stessi.

Le conseguenze della distorsione del concetto di privacy

Partendo dal basso, quindi senza scomodare le correnti filosofiche più auree, sarebbe necessario chiedere a quelle persone che, pubblicando con costanza le foto delle loro ferie in tempo reale, tornati a casa hanno scoperto di essere stati derubati. Andare in ferie non è “cosa da nascondere” e, per principio almeno, il fatto di non essere molto riservati mentre si è in viaggio non dovrebbe coincidere con il trovarsi casa saccheggiata.

Alzando l’asticella del pensiero, il diritto alla privacy permette di esercitarne altri, come per esempio quello di parola e persino quello del rispetto e della dignità. Non avere un’idea centrata del significato della privacy coincide con il tollerare qualsiasi forma di sorveglianza (anche e soprattutto digitale) in virtù di un non meglio identificato “nulla da nascondere”.

Le agenzie per il reclutamento di personale a cui si rivolgono i datori di lavoro sono solite controllare i profili social dei candidati per ottenere informazioni più dettagliate. Pure partendo dal presupposto che nessuno abbia chissà che da nascondere, ciò che pubblichiamo online dice di noi ciò che la nostra idea di privacy ci induce a fare trapelare.

Sostenere che è sufficiente non avere profili social risolve soltanto una parte del problema, perché se non abbiamo contezza della necessità di mantenere il riserbo online, c’è il rischio che questa faccia difetto anche offline. Lo sapeva già bene il conte di Vaublanc Vincent-Marie Viénot il quale, nel 1792, riprendendo parole non sue, sosteneva che spiando un uomo onesto si sarebbe trovato un motivo sufficiente per farlo arrestare.

Ora, ovviamente, non si tratta di indagare nei segreti più reconditi della vita di un essere umano ma il principio della privacy è presto detto usando una figura comprensibile: fare l’amore non è reato, quando facciamo l’amore non stiamo facendo nulla di male ma, nonostante ciò, è cosa che teniamo per noi.

Laddove viene meno la privacy si instaurano con maggiore facilità regole di controllo tiranniche.

Tra i primi diritti che saltano sotto i regimi c’è proprio quello della privacy che apre le strade a ogni tipo di angheria da parte di chi detiene il potere. Tutelare la propria privacy coincide con il tutelare sé stessi e non tanto la liceità di ciò che si pensa o si fa.

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