«Tutto questo dev'essere bruciato senza eccezioni, e ti chiedo di farlo il prima possibile». È il messaggio su un biglietto per l'amico del cuore, Max Brod, da parte di Franz Kafka. Invito strano, reiterato una seconda volta, in un foglietto scritto a matita. Certo, se Kafka fosse stato così convinto dell'autodafé, perché delegare l'amico, che per altro lo venerava come il più grande scrittore del nuovo secolo? Brod era l'unico che non avrebbe mai eseguito l'ordine e lo dimostrò conservando tutti i manoscritti, le lettere, le cartoline, i disegni e persino i ritagli di carta con scarabocchi, comunque kafkiani.
Nel 1923 a Berlino Kafka - che era riuscito ormai quarantenne a emanciparsi dalla famiglia e dall'autoritario padre - conviveva con la giovane Dora Diamant, una gentile ebrea russa poco più che ventenne. Si moriva di freddo. C'era l'iperinflazione e loro vivevano miseramente in subaffitto, lui era malato di tisi: sarebbe morto pochi mesi dopo a Kierling (oggi un piccolo museo kafkiano) presso Vienna il 3 giugno 1924. Per il gelo Kafka bruciò dei manoscritti, ma non i più importanti, che aveva già consegnato a Brod per l'improbabile rogo; alle rimostranze della giovane lui affermò che avrebbe scritto nuovi testi, segnati dalla libertà. Non ne ebbe il tempo. Quelli che aveva scritto, ormai famosi in tutto il mondo, sono connotati da trame inquietanti, pervase dal sentimento di colpa, mai espresso, eppure sempre presente. Da almeno quarant'anni disponiamo di un'edizione critica che presenta le varianti, i pentimenti, le cancellature. Il corpus dei racconti e dei tre romanzi (incompiuti) sono ora disponibili in una monumentale (2266 pagine) e preziosa edizione bilingue a cura di Mauro Nervi per Bompiani. Anche Mondadori annuncia una nuova pubblicazione delle opere di Kafka in piccoli «Meridiani» a cura di Luca Crescenzi. Adelphi aveva pubblicato nel 2022 tutti i disegni in un'edizione prestigiosa, mentre per celebrare il centenario Il Saggiatore, oltre a una nuova edizione dei romanzi, ha appena pubblicato la più completa, ciclopica biografia dell'autore praghese in tre volumi: Kafka. I primi anni (pagg. 700), Kafka. Gli anni delle decisioni (pagg. 752) e Kafka. Gli anni della consapevolezza (pagg. 800), sempre a cura di Mauro Nervi (un eroe della traduzione) del germanista Reiner Stach il quale, guidato da un sicuro e fortunato metodo neo-positivista, ha scritto un'opera immensa e tuttavia di piacevole lettura. Già in un precedente saggio, Questo è Kafka?, pubblicato da Adelphi, avevamo incontrato l'inclinazione di Stach a soffermarsi sui dettagli, ma nel caso dell'autore praghese ogni informazione risulta utile, necessaria per avvicinarci alla sua scrittura enigmatica, labirintica.
In questi giorni sono anche disponibili due agili monografie di scrittori italiani. La prima, Kafka, è di Mauro Covacich (La nave di Teseo) e indica il profondo disagio che l'autore praghese provò nei confronti dei propri scritti. La fantasia narrativa del triestino Covacich inventa felicemente che Kafka, impiegato nelle Assicurazioni Generali, in un tirocinio a Trieste nel 1907 avrebbe potuto incontrare il professore d'inglese al Berlitz School, James Joyce. Sull'autore del Processo e sul segreto dei suoi testi si è anche confrontato un altro romanziere, Giorgio Fontana, autore di Kafka. Un mondo di verità (Sellerio), un prezioso contributo per conoscere quel mondo complesso e complicato che era la Praga di Kafka, ma anche di Rilke e di Werfel, dove la minoranza germanofona agli albori del Novecento si sente assediata dalla maggioranza ceca, la cui borghesia imprenditoriale, artistica e intellettuale sta acquisendo la coscienza della propria identità storica. All'interno della minoranza tedesca gli ebrei vivevano un destino drammatico: alcuni tra gli amici di Kafka avevano operato la scelta sionista e molti decisero di salire, di emigrare in Palestina. Tra essi il condiscepolo di Franz, Hugo Bergmann (1883-1975). Alla cena della maturità del liceo tedesco gli studenti si alzarono in piedi per cantare un inno pangermanista: Franz e Hugo rimasero seduti. Anche questo era Kafka. Hugo divenne il primo rettore dell'Università Ebraica di Gerusalemme. Aveva sposato Elsa Fanta, la figlia di Berta Fanta, il cui salotto intellettuale era frequentato da Kafka, dai suoi amici e anche dal giovane professore di fisica Albert Einstein e da Rudolf Steiner, quando era a Praga a parlare di teosofia.
I giovani s'incontravano nei caffè, per esempio al Café Arco, dove Franz lesse agli amici Il processo ridendone, con sorpresa di Max Brod che avvertì subito che si trattava di una svolta nella letteratura del Novecento. «Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli», così termina il romanzo: Kafka aveva scritto l'incipit e il finale, mentre le parti interne non sono sempre state completate, ma non cambia nulla: la letteratura è opera aperta, non conclusa e quella vergogna rivela la colpa indefinibile, invisibile, incancellabile quale dimensione ontologica dell'essere umano. Per lo scrittore il mondo, la vita è l'enigma, il paradosso. Lui intuisce la presenza di «una infinita speranza. Ma non per noi».
Allora si comprende perché tutti i testi dovessero essere bruciati. E si comprende perché Brod non lo fece. Di ciò gli saremo grati, per sempre.A un secolo dalla sua scomparsa Kafka è probabilmente diventato l'autore più letto e più amato del nostro tempo.
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