Il teste si spaventa e smentisce ma il colloquio è tutto registrato

nostro inviato a Montecarlo

Ieri in serata l’ingegner Giorgio Mereto, imprenditore genovese da venticinque anni residente a Montecarlo, con una lettera a me e alla direzione del Giornale, diffusa anche ampiamente alle agenzie di stampa, ha smentito la sua dichiarazione di aver visto l’onorevole Gianfranco Fini, in un giorno verso il Natale dello scorso anno, nell’ormai ben noto stabile di boulevard Princesse Charlotte a Montecarlo. Dichiarazione che avevo riportato nel mio articolo sul numero in edicola ieri.
Non certo per sfiducia nei suoi confronti, bensì per tutelarmi in vista dei prevedibili attacchi degli agguerriti legali dell’onorevole Fini, io mi ero tuttavia premurato di registrare la nostra conversazione. Ripeto, non era assolutamente sfiducia in lui, ma banalissima prudenza in considerazione della delicatezza dell’inchiesta che sta svolgendo da settimane il Giornale. Ed è infatti da quella registrazione, già disponibile in audio sul sito del Giornale - www.ilgiornale.it - che si evince come nemmeno una riga di quanto io ho riportato nell’articolo sia parto della mia fantasia. La registrazione, insomma, smentisce la smentita. Lo possono constatare, testo dell’articolo alla mano, anche l’ingegnere e i suoi legali.
Faccio un esempio di quel che potrete ascoltare, ovvero il punto chiave della nostra conversazione:
Domanda: «Ha incontrato il presidente Fini in questo palazzo?».
Risposta: «Sì, era insieme a quella donna bionda».
Domanda: «Quando?».
«Vado a memoria sulla data, penso fosse verso Natale».
Domanda: «Fini aveva la scorta?».
Risposta: «Ci sarà stata una ventina di inquilini sulle scale e c’era la polizia monegasca. Ha guardato su e l’ho riconosciuto».
Domanda: «L’ha incontrato una sola volta?».
Risposta: «Non incontrato, visto».
Ovvero, fatta salva la costruzione della frase in italiano scorrevole, parola per parola quanto ho attribuito tra virgolette all’ingegnere. Dove ho inventato? Che cosa ho inventato? Assolutamente nulla.
Immaginavo che Mereto potesse essere seccato con me per averlo citato con nome e cognome. E già ieri in mattinata, con una telefonata molto dura, me lo aveva fatto sapere, dandomi per questo dello scorretto. Premetto - e sono sincero - che umanamente mi spiace, perché nel nostro breve incontro avevo trovato l’ingegnere affabile e simpatico. E tale lo considero ancora. Aggiungo però che professionalmente ero soddisfatto del risultato ottenuto, che andava a rafforzare la campagna informativa del Giornale circa la dimora monegasca della famiglia allargata Fini-Tulliani. È vero, Mereto mi aveva chiesto di non citarlo, ma è altrettanto vero che io non mi ero impegnato in tal senso. Avevo lasciato cadere la cosa lì, puntando a portare a casa la notizia. Cinismo? Piaccia o no a qualcuno, a volte questo fa parte del mio lavoro.
Non ne fanno parte, invece, le invenzioni e le falsità. Ora, dalla lettera dell’ingegnere, nonchè dalle sue dichiarazioni alle agenzia di stampa, risulterebbe invece che tale sua dichiarazione da me riportata sarebbe frutto della mia fantasia. Sapendo bene la delicatezza dell’inchiesta del Giornale, ammetto di non aver esitato a riportare quelle dichiarazioni con nome e cognome.

In un lavoro giornalistico di questa portata, infatti, o si possono esibire documenti cartacei oppure si riportano dichiarazioni attribuibili a qualcuno di riconoscibile. Di troppi anonimi (tassisti, agenti, o magistrati) disposti a parlare sono del resto lastricati gli articoli di tanto cattivo giornalismo.

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