Caro Direttore,
devo confessarle che ho provato un piacevole stupore nel leggere il suo editoriale «Quei due grandi obesi che schiacciano l’Italia», pubblicato domenica scorsa su il Giornale. Dopo una – come sempre – lucida e chiara disamina della (presunta) crisi di cui tanto si parla, o meglio straparla, e dopo aver messo in luce quelli che chiunque abbia onestà intellettuale non dovrebbe avere difficoltà ad indicare quali veri mali del Paese, e cioè «l’imponenza dello Stato sociale e un mastodontico apparato politico», Lei conclude il suo articolo con un’accorata difesa delle prefetture - che, frattanto, approfittando della «crisi», qualcuno vorrebbe sopprimere – da Lei definite «baluardo umiliato del controllo disinteressato sugli enti locali, sempre più numerosi e potenti e arruffoni».
E l’appello finale («altro che dimezzare i prefetti, dimezziamo piuttosto l’esercito degli assessori e dei consiglieri») rappresenta una presa di posizione forte, perché in assoluta controtendenza, visto che a difendere prefetti e prefetture, nell’immaginario collettivo sinonimo di amministrazione pubblica occhiuta e paludata, se non inutile, si rischia di passare per reazionari, a volere essere buoni...
Ho provato, Le dicevo, una piacevole sorpresa nel leggere le sue parole: un sussulto di orgoglio (chi Le scrive è un viceprefetto, appartenente, quindi, al cosiddetto corpo prefettizio), ma anche un pensiero terra-terra: beh, lassù qualcuno ancora ci ama...
Sì. Perché prefetture e carriera prefettizia stanno vivendo in questi giorni una delle pagine più nere della loro storia, oramai bicentenaria. Altro che il «Via i Prefetti!» di einaudiana memoria, quella era quasi una carezza. E l’aggettivo «umiliato» è il migliore, quello che rende più l’idea. Umiliati nelle funzioni e, mi si consenta, anche nel portafogli.
Sotto il primo profilo, le prefetture sono state progressivamente svuotate delle attribuzioni più qualificanti, e mi riferisco al controllo sugli atti degli enti locali (esisteva in prefettura la giunta provinciale amministrativa, temutissimo organo che sindacava nella legittimità e nel merito, quindi anche sotto il profilo dell’opportunità della spesa, tutti gli atti dei comuni e della provincia).
Uffici del ministero dell’Interno, visti con crescente fastidio da sindaci e presidenti delle province, che il «dono» dell’elezione diretta ha ben presto trasformato in grezzi sceriffi e maldestri manager, le prefetture si son dovute reinventare il proprio ruolo, finendo, paradossalmente, per svolgere nell’interesse esclusivo dei cittadini funzioni prettamente politiche di mediazione dei conflitti locali e di «leale collaborazione» con i diversi (troppi) livelli di governo del territorio. Funzioni svolte molto spesso con grandissima efficacia e senso dello Stato (cioè, imparzialmente, o meglio, per citarla, in modo «disinteressato»), grazie alle quali si è attuato, di fatto, un vero e proprio intervento sostitutivo della pubblica amministrazione rispetto alla «politica» - troppo impegnata a legittimare se stessa - apprezzato dalle parti sociali e dai cittadini, che spesso si sono chiesti (ne ho testimonianza diretta nella mia esperienza quotidiana) a cosa servono nella tal provincia venti o trenta parlamentari, se poi il problema lo risolve il prefetto...
Questa sorta di «concorrenza» tra prefetture e rappresentanza politica, di certo non gradita a quest’ultima, forse spiega solo in parte il tentativo di affossare gli Uffici territoriali del governo, di recente sostanziatosi nell’emendamento che l’on. Manuela Dal Lago (Lega Nord) ha presentato al disegno di legge sulla riforma delle autonomie in esame alla Commissione Affari Costituzionali della Camera. La proposta in sintesi «spalmerebbe» sul presidente della Regione, sui presidenti di Provincia, sui sindaci, sulle questure e sulle Camere di commercio le funzioni dei prefetti, prevedendo, soprattutto, la soppressione delle prefetture nelle province (dove, invece, rimarrebbero in piedi le questure...) e la loro localizzazione esclusivamente a livello di capoluogo di Regione.
Insomma: a livello provinciale, sopravviverebbero solo i questori (in soldoni, vi sarebbe un’accentuazione del potere poliziesco), mentre a livello di capoluogo di regione, dove già spadroneggiano i «governatori» e dove è facile intuire un enorme rafforzamento della figura del questore, il prefetto finirebbe per ritagliarsi, sì e no, un posticino... all’ombra.
Tutto questo avviene mentre non è dato sapere qual è il pensiero del ministro dell’Interno, che i ben informati descrivono come una sorta di Giano bifronte, pronto, cioè, a sostenere le magnifiche sorti e progressive delle prefetture quando indossa la giacca governativa, molto più propenso ad assecondare, quando di verde padano vestito, la pancia del corpo leghista...
Venendo, poi, al secondo profilo dell’«umiliazione» riservata alle prefetture, quello, cioè, economico, mi limiterò a sottolineare che il decreto anti-crisi varato in questi giorni dal governo, contiene, nel pacchetto di norme che intendono contenere (ci tengo ad evidenziare che gli intenti sono assolutamente condivisibili) le spese per le retribuzioni della dirigenza pubblica, una norma che menti raffinatissime hanno scritto per «colpire» solamente i prefetti e gli altri dirigenti prefettizi, ai quali, di fatto, verrà «scippato» lo stanziamento già accantonato per il rinnovo contrattuale 2008-2009, non ancora sottoscritto, senza contare il blocco di ogni aumento retributivo fino al 2013.
Senza fare del vittimismo, per comprendere quanto «strabica» sia questa previsione normativa, basterà dire che al comparto sicurezza-difesa (leggi: questori e militari) e vigili del fuoco non si applicherà alcun «taglio» o contenimento delle dinamiche retributive. Con l’effetto che, tanto per esemplificare, i questori potranno fare «marameo» ai prefetti, lasciando a questi ultimi la superiorità gerarchica e funzionale, ma tenendosi in tasca stipendi più alti, in quanto non bloccati né tagliati.
E non dimentichiamoci che, nello stesso giorno in cui il governo varava la «manovra», i dirigenti della presidenza del Consiglio concludevano un rinnovo contrattuale che porterà nelle loro tasche aumenti da 280 a quasi 700 euro mensili!
E sì, perché è bene ricordare che, quando si parla di dipendenti o dirigenti pubblici, resta escluso, in quanto appartenente ad amministrazioni «speciali», il personale di Palazzo Chigi, della Protezione Civile, della Camera dei deputati e del Senato, della Corte costituzionale e del Quirinale, delle varie autorità garanti e chi più ne ha più ne metta! Insomma: sacrifici sì, ma non per tutti, evidentemente! Del resto, l’Italia è anche questa...
Chiudo questa mia lettera tornando alla sua descrizione del composito universo degli enti locali «sempre più numerosi e potenti e arraffoni». Parole sante, verrebbe da dire, se non fosse che la santità, in genere, si conquista con il martirio o la verginità, ed entrambi, converrà, non sono del tutto piacevoli. Se è vero che «cane non morde cane» (mi scuso con Fido per questo poco lusinghiero accostamento), credo, purtroppo, che mai e poi mai la politica azzannerà se stessa.
Province, comuni, comunità montane, consorzi, unioni di comuni, eccetera, rappresentano insieme serbatoio e discarica della politica, fonte di consenso elettorale ed area di stoccaggio per i trombati eccellenti e non, centri di spesa ideali (perché non soggetti più ad alcuna forma di serio controllo) e strumento straordinario di reperimento di finanziamenti destinati a fini spesso sconosciuti o strampalati, per non parlare delle consulenze d’oro, degli incarichi «di diretta collaborazione» e di tutti i rivoli nei quali si disperde il danaro pubblico, alimentando la voragine cui oggi si cerca di porre rimedio.
Siamo sicuri che la classe politica, questa classe politica, voglia davvero eliminare o ridurre allo stretto indispensabile tutto ciò che, in ultima analisi, rappresenta il terreno sul quale essa ha la possibilità di crescere e rafforzarsi? Molto più facile eliminare prefetti e prefetture. Scommettiamo che, sul punto, vi sarà una convergenza perfettamente bipartizan?Un Viceprefetto
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