Non accettiamo il razzismo, ma neppure l'inquisizione: questa la difesa dell'editore di «Tintin in Congo», questa mattina in tribunale a Bruxelles nel processo che vede il fumetto sul banco degli imputati con l'accusa di razzismo. «Non possiamo accettare il razzismo, ma trovo altrettanto spaventoso che si brucino dei libri, perché proibirli è come bruciarli», ha affermato Alain Beremboom, avvocato dell'editore Casterman e Moulisart davanti al tribunale che si pronuncerà il 21 giugno prossimo.
«Tintin in Congo non è un libro razzista e non ha mai causato problemi neppure in Africa», ha aggiunto il legale rispondendo alle accuse contenute nella denuncia presentata da un cittadino congolese residente in Belgio, Bienvenu Mbutu Mondondo, secondo il quale il fumetto doveva essere ritirato dal mercato oppure venduto con un'avvertenza sulla copertina.
L'episodio del giovane reporter uscito dalla penna del disegnatore Hergè fu pubblicato nel 1931 quando l'allora Congo era una colonia belga. Nel 1946 Hergè cambiò alcuni dialoghi che riproponevano stereotipi sull'inferiorità dei neri, ma le modifiche non sono state ritenute sufficienti da chi ha poi presentato la denuncia. «Questo libro contiene immagini e dialoghi a carattere razzista che offendono i neri e tutta l'umanità», ha ribadito stamani l'avvocato del denunciante. Il tribunale si pronuncerà sulla competenza a procedere il prossimo 21 giugno.
Intanto - a conferma della grande popolarità del fumetto - ha realizzato più di un milione di euro l'asta di disegni, tavole originali e oggetti riguardanti Tintin venduti due giorni fa a Parigi in occasione dell'asta organizzata a Drouot-Montaigne.
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