Milano Certo che sarebbe triste se, di tutta questa storia un po’ inquietante e un po’ grottesca della nuova P2, l’unico a doverci rimettere la seggiola fosse proprio lui: Fofò, come lo chiamano nelle intercettazioni. Ovvero Alfonso Marra, nato settantadue anni fa a Cicerale (« Terra quae cicera alit », il paese dove nascono i ceci) e arrivato con enorme fatica sulla poltrona di presidente della Corte d’appello milanese. Perché se da un lato le intercettazioni depositate dalla Procura di Roma dicono che lui, Fofò, combina e dice senza ritegno cose che un magistrato non dovrebbe né fare né dire, altrettanto chiaro - a ricostruire la storia dei mesi scorsi- è che Marra su quella poltrona ci sarebbe arrivato ugualmente, senza le manovre maldestre del trio di faccendieri. Per il terzetto che ruotava intorno a Carboni centrare l’obiettivo fu un successo accidentale, del tutto indipendente dal loro sbattersi e dalla loro influenza (nulla). Lui, Marra- riportino nero-inchiostro perennemente scompigliato, imperituro accento campano, tendenza altrettanto invincibile a mangiarsi le parole al punto da rendere incomprensibili persino i dispositivi delle sentenze- per ora tace. Le intercettazioni raccontano che per conquistare l’agognata carica andò a bussare persino ad un personaggio inverosimile come il geometra Lombardi, il più folkloristico dei tre faccendieri. Ma- come a Milano e Roma tutti sanno - nelle settimane in cui il Csm doveva assegnare la presidenza della Corte d’appello, ci furono pochi telefoni importanti sui quali non arrivasse una chiamata di Marra. Che per vincere doveva valicare un ostacolo quasi insormontabile: il fatto di essere stato appena nominato presidente della Corte d’appello di Brescia, altra carica per la quale aveva fatto fuoco e fiamme. Ma alla fine,anche se di un’incollatura, Marra ce la fece: nonostante che dentro la sua stessa corrente, la centrista Unicost, ci fosse chi remava contro di lui. Come accadde? Alla fine, decisiva fu la sua biografia: quella di un giudice sostanzialmente innocuo, incapace tanto di viltà che di eroismo. L’unica volta in tutta la sua vita in cui prese il coraggio a due mani fu quando - da sostituto procuratore- fece ritirare il passaporto a tutti e ventidue gli azzurri appena tornati vincitori dai Mondiali di Spagna, accusandoli di avere incassato sottobanco i soldi di uno sponsor. Apriti cielo, ovviamente. Passaporti restituiti, inchiesta chiusa. Passato a fare il giudice, Marra ha sempre fatto il suo lavoro onestamente, senza scossoni e senza pestare i piedi. Tanto che quando un suo imputato lo incontrò in tram e lo riempì di botte la costernazione fu unanime, perché era considerato da tutti uno che condannava solo se c’erano le prove.Ha condannato e assolto,e così come tanti suoi colleghi ha fatto carriera, solidamente impiantato in quel correntone multiforme e accogliente che era Unicost, e che a Milano ha espresso anche il sostituto procuratore generale Giacomo Caliendo, oggi sottosegretario, grande amico di Marra, e anche lui inciampato nelle intercettazioni dei faccendieri.
Anche nella rete di rapporti creata negli anni da «sindacalista» va, ovviamente, trovata la spiegazione della nomina di «Fofò» al massimo gradino della magistratura milanese. Ma l’elemento decisivo fu la convinzione che il buon Marra non avrebbe creato grattacapi a nessuno: specie se confrontato all’altro candidato, quel mastino targato Magistratura democratica di nome Renato Rordorf.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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