Le toghe-auditel si accaniscono solo sui vip

La giustizia si sta ammalando di auditel, o di qualcosa di simile che misura la popolarità dei procedimenti giudiziari. Il fenomeno va avanti da parecchi anni, ma ora sta diventando paradossale. Molti magistrati si mostrano garantisti con stupratori, pedofili o delinquenti violenti e pericolosi, mentre si veste da Torquemada con gli indagati più o meno eccellenti.

Capita così che la Corte costituzionale decida che il giudice non è più obbligato a disporre la custodia cautelare per chi è accusato di violenza sessuale, anche verso i minori. Non serve. Non c’è rischio. Non c’è pericolo. Anzi, lasciamo che lo stupratore se ne vada in giro a mappare le vittime e magari a colpire. Che male fa? Il giudice può dormire sonni tranquilli. Gli altri un po’ meno. Accade poi che un boss del narcotraffico, un signore pugliese di nome Franco Castriota, con 30 anni di carcere da scontare, venga mandato a casa perché malato di priapismo. Arresti domiciliari, ecco quello che ci vuole. E così sia. Il boss torna a casa, saluta la moglie, forse malignamente si può dire che cura la sua eccitazione e dopo mezza giornata saluta tutti e si dà alla macchia: latitante. Magari manderà una cartolina ai giudici per ringraziarli di tanta pietà.

Questa però è la stessa giustizia che quando ha tra le mani un manager, un brogliaccio di intercettazioni, e scartoffie piene di indizi, non esita un attimo a ricorrere alla carcerazione preventiva. Il vip, il ricco, il politico, subito in cella perché è pericoloso, perché è un simbolo, perché fa notizia e, in barba a tutto il garantismo, perché se lo sbatti dentro c’è la possibilità che parli. È la confessione in stile inquisizione. È l’ordalia. È il giudizio di Dio. È la legge che in nome della reiterazione del reato e dell’inquinamento delle prove, che valgono solo per un certo tipo di indagato, si avvicina in modo molto pericoloso alla tortura.

Pm che si defilano e non si fanno trovare, gip che improvvisamente vanno in ferie, gli interrogatori di garanzia che diventano una terra promessa, i giorni che passano lenti, senza una certezza e un orizzonte. Ricordate il caso Fastweb? Quanto tempo è rimasto in carcere Scaglia prima di ottenere i domiciliari? È più pericoloso lui degli stupratori, dei narcotrafficanti e dei pedofili? Questo è l’interrogativo su cui bisogna riflettere. La verità è che arrestare il vip paga. Fa, appunto, audience. Il pm si becca i titoloni dei giornali, diventa personaggio, si innamora delle veline, viene fotografato dai giornali di gossip. La toga si conquista il palcoscenico dei calciatori e delle rockstar. E non è un caso che ci sia un manipolo di magistrati che si sia specializzato in inchieste eccellenti. E quando la fama bacia il giudice quasi sempre c’è il repentino salto in politica, tanto un partito che fa della legalità la sua bandiera lo trovi sempre.

Ma che razza di legalità è questa? Si parla tanto di intercettazioni, ma c’è da chiedersi se il problema sia veramente quello. Tangentopoli ci ha lasciato in eredità una simbiosi e una collaborazione troppo stretta tra magistratura e giornalisti. Il dubbio è che quando si sale sul palcoscenico sia molto difficile scendere. Una parte della giustizia italiana subisce questo virus. E allora via al palinsesto dell’autunno.

Facciamo la scaletta, e l’auditel, dei personaggi che ci assicurano un successo di critica e pubblico. Con la speranza di beccare il colpo grosso. Quello che ti fa milionario. È cominciata la corsa alle manette del secolo. E qualche procura già immagina lo spettacolo.

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