Tokio, sarà riscritta la Costituzione pacifista

Sì definitivo al referendum per emendare le clausole imposte nel 1947, che vietano al Giappone di partecipare a conflitti

da Washington

Un referendum fra «pace» e «guerra». O meglio, fra il dovere della pace e il diritto alla guerra. È quello che sarà sottoposto al popolo giapponese, entro tre anni, a conclusione di un lunghissimo dibattito, prima nelle coscienze e poi in Parlamento, sulla opportunità - i sostenitori dicono necessità - di una revisione globale della Costituzione approvata a Tokio sessant’anni fa, cioè nell’immediato dopoguerra e che in gran parte fu scritta in obbedienza ai «consigli» delle autorità militari di occupazione americana e tuttora in vigore. Essa sancisce in termini drastici l’autodivieto dell’«Impero» nipponico a servirsi dello strumento bellico come è diritto di quasi tutti gli altri Paesi del mondo. La clausola fondamentale del testo è l’articolo 9, con cui il Giappone «rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per definire le dispute internazionali. Di conseguenza non manterrà mai forze terrestri, marittime e aeree, né qualsiasi altro potenziale bellico». Una clausola evidentemente imposta dalle circostanze ma che le circostanze di oltre mezzo secolo dopo rendono chiaramente obsoleta e di cui la ragion di Stato consiglia, anzi impone, la revisione. La proposta è stata avanzata più volte, in forma inizialmente assai timida, da diversi governi di Tokio, fin dai tempi in cui il premier si chiamava Yasuhiro Nakasone ma è stata portata avanti con coerenza dal penultimo primo ministro Junichiro Koizumi e infine in forma esplicita dal suo successore Shintaro Abe, che ha saputo eliminare o aggirare due dei tre ostacoli principali. Il primo risiedeva nell’atteggiamento americano che si era evoluto negli ultimi due decenni ma che poteva essere ancora negativamente influenzato da quello che in ogni altro Paese sarebbe un dettaglio: la partecipazione o no del governo alle cerimonie di omaggio ai caduti giapponesi di tutte le guerre, che non si tiene in un cimitero, ma in un tempio, Yasukuni, luogo di contatto con le anime dei caduti, divinizzate senza eccezione e che dunque includono comandanti militari condannati e impiccati dagli americani sotto l’accusa di crimini di guerra. Ha prevalso la convinzione che per il riarmo è opportuno comunque un ritorno di fiamma patriottico. Il secondo ostacolo erano le resistenze dei Paesi che nella prima metà del secolo scorso furono oggetto di aggressioni nipponiche, in primo luogo alla Corea e alla Cina. L’accettazione di fatto da parte di Pechino è venuta con la recente visita a Tokio del primo ministro cinese Wen Jiabao. Resta la terza barriera: la maggioranza dei giapponesi si è affezionata alla Costituzione pacifista. Anche l’ultimo sondaggio conferma che 62 cittadini su 100 preferirebbero mantenerla.

Sono questi ultimi che dovranno pronunciarsi nel referendum, ma il Parlamento li ha preceduti approvando con buone maggioranze la revisione costituzionale voluta dall’attuale governo di coalizione fra i conservatori e il partito buddhista Komeito. Il voto del Senato di ieri, inoltre, specifica che nel frattempo andrà avanti la redazione della nuova Costituzione.

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