«Marguerite Yourcenar ricambiò tardi la simpatia di Lampedusa. Per molto tempo non seppe neppure dell'esistenza di un principe solitario e di tranquilla tristezza che, chiuso in un palazzo barocco su un'isola lontana, aveva cercato di venire a patti con un sentimento di estraneità alla storia e con le proprie fantasie di morte, confrontandosi con le pagine inaspettatamente amiche di una scrittrice straniera». Ci voleva Salvatore Silvano Nigro, critico letterario, professore emerito di Letteratura italiana allo Iulm, siciliano doc e massimo esperto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, per fare incontrare l'autore del Gattopardo e l'autrice delle Memorie di Adriano. Lo fa nell'ultimo capitolo, inedito, di Il Principe fulvo, un suo saggio ora ripubblicato da Sellerio in versione aggiornata. Il libro è uscito in concomitanza con Lampedusa e la Spagna (Sellerio), un memoir a firma di Gioacchino Lanza Tomasi, cugino, figlio adottivo e curatore dell'eredità letteraria di Tomasi di Lampedusa.
Professor Nigro, in che cosa consiste questo «incontro»?
«È una novità. Nel 1980, finalmente, Yourcenar legge Il Gattopardo nella edizione inglese, insieme ai racconti di Lampedusa. E afferma di sentirsi a casa nelle opere di Lampedusa... Così mi sono insospettito».
E poi?
«Ho dimostrato che Lampedusa aveva letto Yourcenar e che le Memorie di Adriano e Il Gattopardo sono due libri sulla morte. Non solo. Nella mia lettura del Gattopardo faccio notare come il Principe di Salina si identifichi sia con l'animale dello stemma della sua famiglia, sia con la statua dell'Ercole Farnese. E questa stessa identificazione, con un animale e con una statua, si trova anche nella Yourcenar: Adriano infatti si presenta come ghepardo e come statua vivente di uno dei Cesari».
Che cosa significa?
«Che il concetto di eternità e di aristocrazia di Lampedusa è preso da Yourcenar. E, in parte, da d'Annunzio. Questo chiarisce molto la genesi del Gattopardo. Un'altra cosa interessante è che Lampedusa legga Yourcenar in una copia che gli era stata prestata dalla madre di Lanza Tomasi, Conchita Villa Urrutia, che fra l'altro era stata musa di Picasso».
Che copia è?
«Gioacchino Lanza Tomasi mi raccontò che era arrivata dalla Francia come regalo a sua madre: Lampedusa gliela strappa dalle mani e non gliela restituisce mai più... Invece Yourcenar riceve il Gattopardo da un amico prete, André Desjardins e, su questa copia, annota degli appunti, che pubblico per la prima volta proprio in questo libro».
Che cosa scrive Yourcenar?
«Che il libro è bello, e che stupendo è il racconto La sirena: dice che nessuno ha raccontato le sirene in modo più bello, nella litteratura; in particolare, per una nota di crudeltà di queste sirene, che azzannano i pesci e hanno i denti sporchi di sangue... La Yourcenar stessa aveva scritto un dramma sulle sirene, quindi si mette in causa, sostenendo di fatto che il suo libro sia inferiore a quello di Lampedusa. Fra l'altro, il prete ritorna in Rinascimento privato di Maria Bellonci».
Quindi il prete diventa, a sua volta, un personaggio da romanzo?
«Sì. Alla fine del capitolo pubblico le lettere che Maria Bellonci scrive al prete per rivelarglielo; solo che muore prima di spedirle e lui non viene a saperlo. Nel romanzo è un ambasciatore del Cinquecento. Secondo la Bellonci, il prete le avrebbe svelato qualcosa di misterioso, forse accaduto in Vaticano, che nessuno sapeva, e che lei aveva inserito nel romanzo; ma non sappiamo che cosa...».
Un labirinto?
«Non è tutto. Torniamo all'Ercole Farnese, che è fondamentale. Palermo è piena di copie della statua, perché era un emblema dei Borbone. Fra l'altro, l'Ercole tiene fra le braccia la pelle di un leone che ha ucciso; leone in cui il Principe di Salina si identifica. E il Principe vuole presentarsi come la statua dell'Ercole Farnese, perché significa: è arrivato Garibaldi, tutti sono saliti sul suo carro; io non ho nulla contro le novità, però voglio morire da Borbone, per dignità e coerenza».
Torniamo al fatto che Il Gattopardo sia un libro sulla morte?
«Il romanzo si apre con un rosario e si chiude con il Principe che muore e, poi, con la sua seconda morte, quando la figlia getta la pelliccia del cane Bendicò. Le Memorie di Adriano e Il Gattopardo sono due romanzi abitati dal profilo della Morte. Che è, anche, la morte di un secolo».
E il cane?
«Bendicò è importantissimo. La figlia vuole rinnegare il padre e ne butta la salma dalla finestra: la pelliccia si riduce in polvere e poi si ricompone e compare un cane, quello dello stemma, che fa un gesto impertinente con la zampa. E questo gesto è un richiamo all'Inferno di Dante... Il cane esprime la disperazione di un uomo che appartiene a un mondo che finisce male».
Male quanto?
«Il Principe muore lontano da casa sua, in un vecchio albergo pieno di scarafaggi, che era un rifugio dei garibaldini. Ma si prende la sua rivincita su Garibaldi perché, mentre muore, scorge Venere, in forma di stella».
Che cosa c'entra Venere?
«Vulcano, che zoppicava, per il Principe era Garibaldi. E, nella mitologia, Vulcano viene cornificato dalla moglie Venere con Marte... È tutto un gioco allusivo. Da alcuni Il Gattopardo viene letto come un romanzetto, ma è complicato».
Lei che lettura vuole dare?
«Volevo fare una forzatura rispetto alla critica letteraria, che è accademica, e non viene letta. Ho voluto abbattere la distanza fra romanzo e critica».
Sostiene anche che sia un romanzo più fantastico che storico.
«Sì. È entrambi. Mentre scrive Il Gattopardo, Lampedusa lavora anche al racconto La Sirena, che fra l'altro è un travestimento di Venere: tutto diventa fantastico, e visionario, nel Gattopardo. Viene letto dai più come la crisi del mondo borbonico ma non è un racconto di storia; o meglio, c'è la storia, ma c'è anche la letteratura. È un grande libro».
Invece in Lampedusa e la Spagna, che cosa ci svela Lanza Tomasi?
«A un certo punto, Lampedusa decide di approfondire la sua conoscenza della letteratura e della lingua spagnola. A quell'epoca Lanza è un suo alunno, uno dei giovani a cui Lampedusa ha aperto la sua casa e a cui tiene lezioni di letteratura europea; ma la situazione si capovolge: è il maestro a chiedere all'allievo di leggergli i classici della letteratura spagnola e di aiutarlo con la lingua».
Di che libri parliamo?
«Di quelli della madre
di Gioacchino, che era spagnola. È interessante questo rapporto di Lampedusa con gli allievi, che diventano suoi maestri, di cui non si sapeva nulla. E poi mostra la sua grandezza, che è anche nell'umiltà della persona».
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