La teologia della liberazione è ancora un problema. Anzi, con l'attuale pontificato, quel modo d'intendere il cattolicesimo ha acquisito spazi e posizioni. Ne sono coinvinti dalle parti deI cosiddetto "mondo tradizionale", che è molto variegato. Julio Loredo è il presidente per l'Italia dell'Associazione "Tradizione Famiglia Proprietà", che si è distinta pure per la critica mossa nei confronti delle deliberazioni del Sinodo panamazzonico. Ma la disamina dell'intervistato tocca più punti.
Il Sinodo panamazzonico ha contribuito a far emergere posizioni differenti. Voi siete tra coloro che meno ritengono necessario un intervento urgente e sovranazionale per quei territori. Sbaglio?
L’Amazzonia appartiene ai Paesi amazzonici – Brasile, Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Suriname, Guyana, Guyana Francese – che hanno pieno diritto di sovranità sul loro territorio. Introdurre una logica di internazionalizzazione di aree dichiarate di interesse sovranazionale aprirebbe una china pericolosissima. Anzitutto, chi dichiarerebbe una zona come di interesse sovranazionale? Poi, con quale tipo di forza si interverrebbe? Con la forza militare? Come si porrebbe la legittimità dei governi nazionali? Sarebbero ipso facto spodestati o, al meno, coatti da un’autorità mondiale? Che cosa resterebbe allora della democrazia?
Quali conseguenze avrebbe una impostazione sovranazionale?
È chiaro che così si aprirebbe una logica interventista e imperialista dalle conseguenze imprevedibili. D’altronde, desta sospetti che tale argomento sia utilizzato quasi esclusivamente contro il Brasile. Per esempio, dato che molti Paesi dell’Unione europea dipendono dal gas russo, dovremmo dichiarare la Siberia zona di interesse sovranazionale? O il Golfo Persico per quanto riguarda il petrolio? Ciò detto, ci sembra che i dati oggettivi – economici, sociali, culturali, ambientali – mostrino che il governo brasiliano sta facendo un lavoro soddisfacente nell’Amazzonia. In altre parole, non c’è nessun motivo per un intervento urgente e sovranazionale per quei territori.
Da un punto di vista dottrinale, è corretto parlare di ritorno del tradizionalismo?
È un dato di fatto che il tradizionalismo sta crescendo ovunque. Basta vedere i numeri. Non parlerei, dunque, tanto di "punto di vista dottrinale" quanto piuttosto di un dato sociologico che mostra un profondo cambiamento nelle tendenze in crescenti settori dell’opinione pubblica. Si tratta, certo, di un “ritorno”, ma con una nota fondamentalmente innovativa. Infatti, la stragrande maggioranza delle persone coinvolte in questo fenomeno è giovane.
Ma i tradizionalisti sono dei nostalgici?
Sono persone che non possono essere accusate di nostalgia, cioè di voler ritornare a qualcosa che avevano conosciuto. Che cosa attrae un numero crescente di giovani verso la Tradizione? È un fenomeno complesso, impossibile da analizzare in poche righe. Direi che è un qualcosa di simile al figlio prodigo del Vangelo. Essendo il processo rivoluzionario mondiale giunto a eccessi veramente sconcertanti – aborto, agenda lgbt, droga, eutanasia e via dicendo – dal profondo di molte anime sta sorgendo un desiderio di Ordine, che si traduce poi in vari modi.
Come si declina nella religione questa esplosione tradizionale?
Questo rinnovato vigore del tradizionalismo è evidente nel campo religioso, per esempio con l’aumento esponenziale delle Messe in Rito antico, frequentate soprattutto da giovani e celebrate da sacerdoti giovani. Oppure nella grande bonanza che sperimentano gli ordini religiosi contemplativi di stretta osservanza. C’è voglia di religione, e concretamente da quella di sempre, non rammollita da elementi liberali. La tendenza è evidente anche in ambito politico, col progresso quasi generale dei partiti di centro-destra. Le recenti elezioni regionali in Umbria ne sono chiaro esempio. È evidente che il vento della storia sta cambiando.
La teologia della liberazione rappresenta ancora un problema?
La condanna di Giovanni Paolo II nel 1984 e, soprattutto, il fallimento del progetto politico che le serviva da vettore – cioè, il socialismo reale – segnò un periodo di decadenza per la Teologia della liberazione. L’elezione, nel 2013, di un Papa latinoamericano vicino a questa corrente diede invece il via per una sua rinascita. Si parlò prima di "sdoganarla", poi di “farla diventare parte della vita della Chiesa. Oggi, ritengo che sia una delle colonne portanti dell’attuale pontificato.
Voi avete sollevato una serie di perplessità sul Sinodo panamazzonico...
Ne è prova il recente Sinodo speciale per la regione amazzonica, pensato, organizzato e realizzato da persone e da organismi appartenenti al movimento della Teologia della liberazione, sia nelle sue forme originarie, di ispirazione marxista, sia nelle sue forme aggiornate, cioè la Teologia indigena e la Teologia ecologica. In questo senso, è ovvio che la Teologia della liberazione rappresenti ancora un problema. Anzi. Con questo Sinodo, ha dimostrato un alto grado di organizzazione e di motivazione ideologica. Per non parlare poi della gigantesca macchina di propaganda al suo servizio.
La teologia della liberazione è ancora maggioritaria nelle nazioni di origine?
La domanda è se conta sull’appoggio dell’opinione pubblica latinoamericana. E la risposta credo sia un secco "No". Già negli anni Sessanta e Settanta, il movimento della Teologia della liberazione era piuttosto roba di minoranze molto agguerrite, sostenute da pochi prelati altrettanto agguerriti. L’immensa maggioranza del clero e dei fedeli rimaneva, invece, silenziosa, dando l’impressione che il movimento fosse corpulento e inarrestabile. Oggi la situazione è alquanto cambiata".
Mentre il clero e la cosiddetta base...
Mentre più prelati, sacerdoti e fedeli smettono di essere silenziosi, cresce la reazione contro la Teologia della liberazione. Come un’onda d’urto profonda e possente, la reazione contro il Sinodo amazzonico, per esempio, si è riversata sui social e sui giornali, coinvolgendo un numero enorme di persone. Elemento importante di questa reazione è stato, senza dubbio, l’azione promossa dall’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, specialmente attraverso il sito Pan Amazon Synod Watch.
Che idea vi siete fatti dell’approccio di papa Francesco con le priorità del continente sudamericano?
Bisogna fare un po’ di storia. Negli anni Sessanta e Settanta, l’America meridionale fu sconvolta da processi rivoluzionari, stimolati da Cuba e speso violenti, che, con l’aiuto della Teologia della liberazione, condussero al potere governi socialisti e perfino comunisti. Senza eccezione, questi esperimenti socialisti si dimostrarono un fallimento, con grande sofferenza per le popolazioni. Con fatica, dagli anni Novanta il continente iniziò a rialzarsi, progredendo con tale forza che oggi vanta ben quattro Paesi nella categoria di "potenza emergente". In poco più di due decenni l’indice di povertà fu dimezzato mentre migliorava la distribuzione della ricchezza. Facevano eccezione Cuba e Venezuela che, afferrate a un socialismo anacronistico, sprofondavano sempre di più nella miseria.
Qual è la situazione in Sud America adesso?
Mentre la maggior parte dei sudamericani si mostra contenta col ritrovato vigore del continente, i nostalgici del socialismo cercano in ogni modo di tornare al passato. Ciò configura, oggi, uno scontro fra due opposte concezioni dell’uomo, della società e anche della Chiesa, che si contendono la guida del continente. Uno scontro che si dà sia sulle dottrine sia sui progetti concreti.
Dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco mostrò simpatia per un lato del dibattito, incoraggiando e sostenendo persone e organismi legati alle correnti della sinistra. Ciò ha provocato non poca confusione, non solo per le implicazioni dottrinali di tali prese di posizioni, ma anche per le loro conseguenze concrete, già dimostratesi fallimentari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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