In un mondo che si avvia sempre più verso la transizione ecologica, ecco che il futuro degli smartphone potrebbe essere rappresentato da batterie che si ricaricano con la luce (solare o artificiale) grazie alle alghe. È quanto sta cercando di mettere a punto l'Università di Cambridge con un dispositivo innovativo che funziona tramite la "fotosintesi" come quella delle piante.
Ecco come funziona
"Si chiama Synechocystis e oggi è classificato come un cianobatterio, ma fino a 20-30 anni fa era chiamata alga blu-verde, data la sua pigmentazione; biologicamente è simile a una pianta", racconta a Repubblica Paolo Bombelli, uno dei ricercatori che ha preso parte al progetto. "Ne abbiamo sfruttato le proprietà di fotosintesi per creare un piccolo sistema elettrochimico che, alimentato con la luce, produce corrente elettrica", ha aggiunto. Lo studio dal titolo "Alimentazione di un microprocessore mediante fotosintesi" è consultabile sul giornale La Royal Society of Chemistry che spiega nel dettaglio qual è stata l'idea. Invece, a costruire il chip ci ha pensato l'azienda Arm Research con sede a Cambridge.
Questa batteria ad alga potrà davvero sostituire quelle al litio? Potenzialmente sì, eccome, visto che può sfruttare luce artificiale e naturale insieme. "Nello studio abbiamo confermato che la batteria ha funzionato sei mesi, ma in verità siamo riusciti ad alimentare il chip Arm Cortex M0+ per più di un anno e probabilmente avremmo potuto proseguire se non avessimo dovuto restituire il processore", aggiunge l'esperto. Scendendo nel dettaglio, l'elettricità che serviva ad alimentare la batteria ha dato le indicazioni, al chip, di fare soltanto una cosa, una facile operazione matematica ripetuta nel tempo. Non sono stati riscontrati intoppi tant'é che il processo è andato avanti ininterrottametne per sei mesi: la corrente veniva prodotta nell'arco di tutte le 24 ore con il picco ovviamente durante il giorno ma con la garanzia che fosse alimentato anche durante la notte.
Il valore aggiunto
Non va sottovalutata una cosa: la sperimentazione non è avvenuta in laboratorio ma in ambiente domestico come se già la batteria fosse operativa, il che fa pensare che possa essere quasi pronta per far il proprio ingresso sul mercato. La vera sfida del team di Cambridge, finora vinta, è quella di sfruttare proprio la fotosintesi trasformando la luce in energia e direzionarla in un apparecchio che poi la sfrutta come accade per i telefonini. La difficoltà maggiore è stato quello di creare un meccanismo affinché un elettrodo potesse trasportare e trasformare questa energia. "Alla fine abbiamo scoperto che con un anodo in alluminio, il cianobatterio formava colonie attive e quindi un biofilm. E vi abbiamo abbinato un secondo elettrodo costituito da una lamina in carbonio e nanoparticelle di platino affinché funzionasse come catodo", afferma Bombelli al quotidiano italiano. "Il nostro trasportatore era frutto della combinazione dell’alluminio e i batteri che prolificano nella soluzione liquida".
Come è composta la batteria
Secondo le prime indicazioni, questa batteria sarebbe leggerissima (50 grammi), sviluppata in 6 cm di altezza e contenente 14 ml di "soluzione acquosa a base di Synechocystis". L'elettricàt complessiva è pari a 700/800 millivolt, l’intensità è di pochi microampere. La pila con i cianobatteri ha le capacità di funzionare per più di un anno.
"La prospettiva è di intervenire probabilmente sia sulle dimensioni della batteria che sulla ricerca di un cianobatterio più efficiente o comunque più adatto alla tipologia di sensore". È chiaro che si tratta di una frontiera non ancora raggiunta, saranno tanti gli aggiustamenti da fare e gli accorgimenti da prendere ma l'inizio sembra essere molto promettente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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