Rieccolo. Dopo il pistolotto iniziale di Santoro, quello di Travaglio: finalmente ci parlerà dell’inchiesta giudiziaria più importante del Paese, quella orribilmente denominata «Magnanapoli» e sulla quale Travaglio, sempre informatissimo, si è finalmente informato: sino a venerdì scorso, al Corriere della Sera e alla Stampa, diceva «Non conosco le carte, non so nulla di quest’inchiesta». Ora conosce, ora sa: e, dopo una breve ricostruzione già letta sui giornali di un mese fa, eccoti il fulcro di tutto il pistolotto: il ruolo di Alfredo Vito nelle inchieste napoletane del 1993, però, quand’era parlamentare della Dc. Parla di questo, il cabarettista. Legge delle carte di 16 anni fa. Gigioneggia. E, un po’ sottotono, saluta.
Volte in cui il cabarettista del Travaglino ha nominato Di Pietro padre, o anche figlio: zero. Volte in cui ha nominato Mauro Mautone, uomo di Di Pietro, arrestato a Napoli, quello a cui il Dipietrino chiedeva favori: zero. Volte in cui ha nominato gli altri esponenti dell’Italia dei Valori coinvolti nell’inchiesta: zero.
Anno: zero.
L’Ugo Intini di Antonio Di Pietro interverrà nuovamente alle 22.20, leggendo degli appunti sfasati dalla discussione che si stava facendo. Fa dei nomi: Marini, Gambale, Romeo, Lusetti, Rutelli. Mautone no. Di Pietro no. Parla della selezione delle candidature, identico discorso fatto in precedenza da Di Pietro. Nessuna domanda, neppure, sulla selezione delle candidature dell’Italia dei Valori e relativi indagati.
Ma non c’è niente di strano. Mentre «Magnanapoli» prendeva forma, infatti, Travaglio s’occupava d’ogni cosa fuorché di quella. Solo a metà dicembre, quando uscivano un paio di intercettazioni e Cristiano Di Pietro preannunciava le proprie dimissioni, Travaglio riusciva finalmente a scrivere che «è giunta notizia delle dimissioni di Di Pietro junior dall’Idv per un paio di semplici raccomandazioni: un gesto di grande dignità».
Le dimissioni senza dimissioni: davvero dignitosissime, visto che il Dipietrino ha mantenuto la carica di consigliere provinciale e quindi lo stipendio. Sul blog di Travaglio, tuttavia, circolano idee ficcanti: «Deve essere il collegio dei probiviri dell’Italia dei Valori a esaminare il caso di Cristiano Di Pietro», scrive Peter Gomez. Dettaglio: l’Italia dei Valori non ha nessun collegio dei probiviri, come il Giornale fa notare il giorno dopo. Travaglio ne prenderà atto in un’intervista al Corsera: «Serve un collegio di probiviri, un bel plotoncino di cerberi con i controcoglioni». Lo ripete alla Stampa. Lo dice a tutti: tranne, durante Annozero, a Di Pietro.
Figurarsi. Piuttosto: la campagna del Giornale su Di Pietro, secondo Travaglio, è spazzatura: lui in quei giorni, scrive di questo: «Il Giornale gli ha dedicato titoloni in 17 prime pagine su 21, mentre in Italia e nel mondo accadeva di tutto». Che cosa, per esempio? Andiamo ad arguirlo dagli argomenti che Travaglio trattava in quei giorni: l’alba di un nuovo fascismo (a margine della querelle giudiziaria Salerno-Catanzaro), ovviamente De Magistris, la vera storia della seconda Repubblica (stragi organizzate da Forza Italia e dalla mafia), polemiche col collega Pierluigi Battista e col professor Angelo Panebianco, dati farlocchi sulle intercettazioni, e persino qualche parola su Gaza e sulla Palestina, pur di tacere del suo Tonino amatissimo. La campagna del Giornale è spazzatura: però, il 17 gennaio, intervistato dal Corriere, eccolo dire che «Di Pietro si è comportato bene con la modifica dello Statuto». E già, perché chi gliel’ha fatto cambiare lo Statuto? La campagna di quale giornale? Ma chi se ne frega. Il problema, scriveva Travaglio, è questo: «È bastato Di Pietro che toccasse il 15% in Abruzzo, e collezionasse 1 milione di firme contro la legge Alfano, perché Il Giornale di famiglia scatenasse una campagna forsennata». Il problema è l’Abruzzo, non la Campania dove Di Pietro è stato sentito per tre ore anche per via di suo figlio, che è indagato. E il 16 gennaio, mentre tutti i giornali sparano la notizia del figliuolo indagato, di che scrive Travaglio? Del processo Andreotti. Su Cristiano, niente. Come ieri sera. Però dice alla Stampa: «Io non confondo chi ha preso mazzette, che è un reato, con una semplice raccomandazione» Quindi Cristiano non doveva dimettersi anche da consigliere provinciale? «Non c’è niente di penalmente rilevante».
Ah. Non c’è niente.
Cioè: Cristiano Di Pietro è indagato per corruzione e abuso d’ufficio e turbativa d’asta, altri del partito sono indagati, suo padre intanto è stato interrogato per tre ore ed è uscito sfiancato, i sondaggi dell’Italia dei Valori ne stanno risentendo: ma Travaglio non è informato. «Di Pietro sta facendo un figurone» assicura Travaglio nello stesso giorno. Questo signore, , parla nella tv del servizio pubblico ed è pagato da voi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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