
Alla penna arguta dello scrittore e giornalista Manlio Cancogni si deve una delle migliori sintesi dedicate allo scorcio conclusivo della vita di Benito Mussolini. Un testo brillante. Informato, equilibrato, di lettura piacevole. Il punto debole sta nel fatto che Mussolini viene ritratto come un uomo che subisce gli avvenimenti. È vero l'esatto contrario. Ha coscienza della situazione disperata. Un secondo punto debole della ricostruzione è la fiducia nella «versione canonica» della morte di Mussolini e Clara Petacci. La «versione» accreditata da Cancogni è quella messa nero su bianco dal partigiano al comando del drappello incaricato di eseguire la sentenza di morte. Nome di battaglia: colonnello Valerio. Il nome di battesimo è Walter Audisio, ragioniere nato ad Alessandria nel 1909, iscritto al Partito comunista d'Italia dal 1931. Questo è il resoconto degli ultimi attimi di vita di Benito: «Tremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione . Si raccomandava nel modo più vile per quel suo corpo grosso tremante: solo a quello pensava». Poi parte la raffica di mitra davanti al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra, in provincia di Como.
La «versione canonica» Valerio la rende pubblica in cinque lunghi articoli pubblicati sull'Unità, dal 25 al 29 marzo 1947. Mussolini fu condannato a morte e a lui venne chiesto di eseguire la sentenza. Senza perdere un attimo di tempo. La «versione canonica» col trascorrere del tempo si consolida. Fino al punto di trovare un'adeguata rappresentazione nel finale di Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani. Nel film il racconto di Valerio, trent'anni dopo, è trasposto quasi integralmente. Appoggiato al muro con lo sguardo inorridito, Mussolini cerca riparo facendo scomparire la testa dietro il bavero del cappotto. Clara invece reagisce: con la forza della disperazione. Prova ad impedire l'esecuzione. Viene abbattuta, involontariamente. A ottant'anni di distanza abbiamo solo una certezza: il racconto è falso. Poco importa se parzialmente o totalmente. Una sola certezza è indiscutibile: ad uccidere Benito e Clara sono stati i partigiani. Per quali ragioni e con quali modalità non lo sappiamo e, probabilmente, non lo sapremo mai. Il racconto di Valerio è la «matrice» alla quale seguono oltre venti «varianti». Spesso contrastanti e contraddittorie. Talvolta fantasiose. Ogni tanto ne spunta fuori una nuova.
L'ultima, in ordine di tempo, è del 2023. Mussolini si trova prigioniero a casa dei coniugi De Maria e ha un diverbio con due partigiani. Alfredo Mordini (nome di battaglia Riccardo) lo uccide con un'arma da fuoco, nel corso di una colluttazione. Poi viene eliminata la testimone dell'accaduto. Pertanto, la fucilazione è una pura e semplice «messa in scena». Musica ha scritto Renzo De Felice «sempre uguale, anche se suonata con strumenti diversi». Una vicenda, come rilevava lo storico reatino nel 1995, pochi mesi prima della sua scomparsa, sulla quale «si accavallano ombre, interrogativi, in qualche caso ancora paure (la paura che sembra attanagliare gli ormai pochi testimoni oculari)».
Con De Felice e il regista Folco Quilici prima della scomparsa dello storico, avvenuta nel 1996, dovevamo realizzare un documentario dal titolo Le morti di Mussolini. Purtroppo, la produzione si fermò alla fase ideativa. Perfetti sul Giornale del 9 aprile 2011 ricordava come De Felice avesse studiato attentamente l'argomento (ad una riunione si presentò con un faldone zeppo di carte) ed «era andato sempre più convincendosi che le ultime ore di Mussolini furono l'esito di uno scontro fra i servizi segreti alleati in collaborazione con alcuni segmenti della Resistenza». La questione è complessa, data la quantità di ricostruzioni. Dovendo riassumere una vicenda controversa, per uscirne si può ricorrere alla logica suggerita dal «rasoio di Occam»: tra spiegazioni concorrenti, convergere su quella più semplice.
Alla cattura di Mussolini gli agenti in campo sono cinque: fascisti, tedeschi, americani, inglesi e partigiani. Possiamo escludere i primi quattro. Dunque, a uccidere Mussolini sono stati i partigiani. Gli americani volevano processarlo; gli inglesi probabilmente preferivano una soluzione diversa. Però non c'erano sul posto né gli uni né gli altri. Alla «versione canonica» di Valerio possiamo aggiungere una «variante». I partigiani avrebbero agito per conto degli inglesi.
Bruno Giovanni Lonati (il partigiano Giacomo, all'epoca ventiquattrenne, originario di Legnano, commissario politico della 101 Brigata Garibaldi), nel 1994 decise di rendere pubblica la sua «verità». Fu lui e non Valerio il giustiziere. La missione aveva un duplice obiettivo: recuperare alcune carte riguardanti i rapporti dell'Italia con l'Inghilterra ed eliminare gli «scomodi testimoni» Benito e Clara. L'«ultimo atto» si consumò senza «implorazioni, parole lapidarie o lamenti: niente di niente». Gli inglesi si dimostrarono più rapidi e scaltri degli americani. All'esecutore materiale venne addirittura consegnato un documento, da usarsi in caso di necessità (per l'immediato e per il futuro), attestante i servigi resi al Regno Unito. I partigiani comandati da Valerio si sarebbero intestati a posteriori il «merito» della fucilazione.
Le due «versioni» sono opposte. Hanno solo un punto in comune: gli esecutori sono stati i partigiani.
Ormai il trascorrere del tempo ha cancellato, con tutta probabilità, la possibilità di arrivare a un racconto veritiero. Con la morte di Benito e Clara si chiude la storia iniziata nel 1922. Questo è il fatto che determinerà il corso futuro della storia italiana. E può bastare.
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